venerdì 6 aprile 2012
Angola 22 Gennaio-17 Febbraio 2012
(quasi un diario del dr. Massimo Brenna - chirurgo)
… Sto finalmente per arrivare! Sono 2 giorni che viaggio, ho un po’ di nausea da auto che sobbalza sullo sterrato degli ultimi km prima dell’ospedale di Chiulo: sono in Angola, nell’ Africa di Sud-Ovest, un paese grande 5 volte l’Italia con 1/3 della nostra popolazione (neanche 20 milioni di abitanti); di cui 5-6 milioni vivono a Luanda, la capitale. Questa volta sono solo: Veronica (mia figlia infermiera) che era venuta con me 2 anni fa in Sudan doveva lavorare.
Fuori caldo, un po’ umido (non troppo), paesaggio tipico d’Africa con la Savana che si risveglia dalla stagione secca: l’erba comincia a rinverdire, i baobab sparsi qua e là sono pieni di foglie, ogni tanto qualche macchia di cespugli e piante. In più qualche rottame di blindato e carro armato, residui della guerra Civile ormai finita da 10 anni. Non vedo animali: mi dicono che se ne sono andati durante la guerra (almeno loro sono potuti fuggire!). Come in Sud-Sudan le Savane sono deserte di vita. E’ la morte dell’ambiente naturale d’Africa dove la natura è stata padrona per centinaia di migliaia di anni.
Consegne veloci: sostituirò il chirurgo (Giacinto, detto Cino) e la moglie internista (Alma). Mi aiuterà per circa 17-18 giorni la dottoressa Maddalena Rimediotti, specializzanda in geriatria che qui cura bambini! I letti sono tanti (circa 140 + 60 del reparto Tubercolosi) e molti sono i malati gravi. Ce la farò?
Il giorno dopo sono già in Sala Operatoria, subito dopo nei Reparti e poi ancora a visitare pazienti che vengono inviati dagli infermieri che fanno il primo filtro negli Ambulatori esterni. E’ un flusso continuo di gente che viene anche da molto lontano, a volte facendo a piedi oltre 10 km, perché non hanno soldi per pagare il trasporto (i soldi li hanno messi da parte per le visite e le medicine): eh si! in Africa i poveri pagano visita e medicine! Per noi (“ricchi”) che non paghiamo i servizi sanitari sembra assurdo ma senza quei soldi gli Ospedali, già malandati, non reggerebbero. La gente lo sa e lo condivide.
Ricordo in Etiopia un giovane affetto da gangrena ad una gamba in seguito ad un trauma che è giunto in Ospedale dopo 7 mesi, quando finalmente è riuscito a raccogliere i soldi per la visita e l’operazione! La prima settimana passa senza che mi accorga: vedo solo Ospedale, malati e la casa dei medici la sera dove ci si siede insieme al Coordinatore del progetto (Dr. Marco Pratesi) e all’amministratrice (Susanna Calcina). Momenti brevi di relax prima del “black out” : alle 23.00 si spegne il generatore e cala il buio. Ho ripreso a fare l’ostetricia e ginecologia: ormai era un po’ di anni che non la praticavo così intensamente.
Il progetto “maternità sicura” sta cominciando a dare i suoi frutti: sono aumentate le donne che vengono al consultorio pre-natale e poi a partorire in ospedale se hanno problemi. Oggi mi chiamano per valutare una donna che è alla 13° gravidanza e non riesce a partorire. E’ sfinita da 2 giorni di contrazioni, il bambino è ancora vitale ma bisogna fare in fretta. Confermo che occorre fare il taglio cesareo e chiedo alla signora se possono chiudere le tube: dice di no! Sono costernato, ma è cosi. Devo rispettare la sua volontà!
Domani devo amputare un dito della mano a Madò,una splendida bambina di 4 anni che ha subito una “mordedura de cobra” come dicono qui. Impossibile spiegare che se fosse stato un cobra sarebbe morta. Si tratta di vipera ed è già abbastanza. La piccola è in ospedale da 1 mese a medicare il dito che è ridotto ad un moncone irriconoscibile. Madò (Maddalena) entra in sala operatorio in braccio a me e mi sorride contenta,è da sola : la mamma non c’è da 1 settimana. E’ dovuta tornare al villaggio per curare gli altri bambini e recuperare un po’ di cibo. La bambina è stata “adottata” dalle altre mamme della pediatria che la curano, gioca con gli altri bambini,mangia quello che passa l’Ospedale e non si lamenta mai. Sembra uno dei nostri bambini,vero? Ho dovuto estendere l’amputazione al metacarpo (osso della mano), perché l’osso era infetto. Speriamo bene. In 3 settimane ho operato 3 pazienti per “mordedura de cobra” : ma quanti “cobra-vipere” ci sono? L’ultima,una donna di circa 25 anni,è arrivata con un ascesso al braccio sinistro e un’area di pelle necrotica di circa 20 cm. Dice che è stata morsa mentre dormiva nella capanna,quando si è svegliata per il dolore non ha visto il serpente. E’ stata al villaggio 5 giorni,poi quando è salita la febbre ed è cominciato ad uscire il pus è venuta in Ospedale. Mi domando : ma sarà davvero un serpente,oppure un ragno? Oppure un insetto e il morso ha fatto infezione? Mah!
…Maledetto portoghese! Mi dimenticavo : in Angola si parla portoghese. Sono sempre stato in paesi di lingua Inglese e Swahili. Questa volta non c’erano colleghi chirurghi che conoscevano il portoghese, disponibili a partire in questo periodo. Perciò mi sono messo a studiarlo per un paio di mesi. Pensavo fosse facile! Dopo 1 settimana mi si confonde tutto nella testa,capisco poco e parlo peggio. Ma vado avanti. Alla fine questi infermieri Angolani sono simpatici e svegli. In qualche modo mi capiscono e hanno pazienza. Ogni tanto ridono : non so perché ma immagino di aver detto qualche bestialità! Qualche volta sbarrano gli occhi e allora mi rendo conto di aver parlato in Inglese o in Swahili che mi vengono spontanei. Ora capisco cos’era la torre di Babele!
Sono le ore 14.30 : fa caldo,sono in Ospedale dalle 8.00 no-stop,ho fatto un cesareo urgente,il giro in 3 reparti e sono cotto. Devo rientrare un salto a casa per fare pipì,bere e mangiare qualcosa,tirare il fiato. Passo davanti alla sala visite : ci sono almeno 30 occhi che mi guardano,tra cui molti bambini. Stanno aspettando da alcune ore per essere visitati. Distolgo lo sguardo! Dico all’infermiere che vedrò di fare in fretta. C’ è gente che deve rifare 10 km a piedi per tornare a casa,magari col bambino sulle spalle,e non ha mangiato nulla. Non ho la loro resistenza..devo staccare un attimo!
A casa mi aspetta Cristina,una signora di 65 anni che fa la domestica per i medici che ho sostituito e che ho temporaneamente “ereditato”. Tutte le mattine cammina per 1 ora e mezza per venire a lavorare. E’ preoccupata perché non mangio a mezzogiorno. Mi ha preparato riso e un sugo al pomodoro per condirlo. Le spiego che non ho tempo per sedermi. Vedo che ci resta male. Allora mi accordo per un caffè e un po’ di frutta e le prometto che mangerò tutto alla sera. Intanto le chiedo se può comperarmi un po’ di patate e qualche birra al mercatino poco distante che si tiene sotto un grande albero. Quando torna ha con sé una cassa di birra,mi dice che venderà qualche bottiglia nel suo villaggio per guadagnare qualcosa. Ma come la porterà? In testa,ovviamente! E per almeno 10 km! E io che mi sento stanco perché ho fatto un po’ di lavoro continuato per qualche ora e ho 10 anni meno di lei!!! E’ meglio ricominciare e anche in fretta. Saluto Cristina -“Até segunda feira (a lunedì)- dico io - “Até amanha (a domani-domenica)- dice lei,perché vengo a messa. Giusto per non perdere l’allenamento,meglio camminare anche domenica per 3 ore tra andata e ritorno!
Appena rientro mi chiama la pediatra che mi chiede se posso darle un consiglio per una bambina di 7-8 anni giunta con convulsioni e con febbre alta. Sembra una malaria cerebrale o una meningite. Non abbiamo test di laboratorio a disposizione per la meningite, il test rapido per malaria è negativo. Eseguo la puntura lombare e il liquido sembra limpido : non è meningite. Cosa sarà? Forse è solo un infezione delle vie respiratorie,una polmonite,ma adesso è in coma. Ha avuto convulsioni per troppo tempo senza essere adeguatamente sedata. Ci vorranno giorni di antibiotici e cure per vederla lentamente riprendersi ma non saprò mai se sono residuati dei danni cerebrali permanenti. Mi sento inadeguato e impotente. Sono un chirurgo,non conosco bene la pediatria,sono troppi anni che non la pratico… penso anche che da noi in Europa,abbiano un sacco di specialisti ed esami a disposizione. Forse avrei potuto curarla meglio! Ma siamo in Africa. La vita,la malattia e la morte sono come un fiume che scorre : non c’è modo di fermarlo, né di deviarne il corso. Si può provare a navigarci ma si rischia di affogare se si vuole andare contro corrente.
Questa notte voglio dormire. Comincio a non poterne più. Sono 10 giorni che sto in Ospedale e non ho visto nulla al di fuori di esso. Piove e rinfresca,mi addormento… suona la campanella alla porta : sono le 2 e l’infermiere del reparto uomini mi dice che un paziente è grave. Quando arrivo è morto da 15 minuti. Aveva 20 anni,affetto da TB e AIDS,ricoverato per polmonite grave. Non ce l’ha fatta. Ma aveva poche possibilità! Non abbiamo più farmaci anti-tubercolosi in Ospedale,li abbiamo finiti da quasi 1 mese. In tutta l’Angola scarseggiano,è un emergenza nazionale : la tubercolosi è un vero flagello qui in Angola,peggio dell’ AIDS che affligge circa il 6% della popolazione. Poco (sic!) rispetto alle medie di altri paesi africani.
Un’ala del reparto uomini è occupata da carcerati che provengono dalla prigione poco distante : ci sono circa 30 malati,tutti uomini dai 18 ai 27 anni e tutti affetti da TB e AIDS. Sono letteralmente stipati in una stanza di 30 metri quadrati che viene chiusa con un lucchetto durante la notte e sorvegliata a vista da guardie carcerarie,ma sono così debilitati che anche volendo non riuscirebbero a scappare. Rientrando a casa spengo la pila e subito mi accorgo che c’ è luce per terra;non è la luna che in questi giorni è assente. Alzo lo sguardo e mi ritrovo stupito a guardare la meraviglia del cielo notturno africano : un libro scritto da milioni di stelle,incredibilmente distinte e luminose che a me sembrano anche più vicine. Forse il cielo si abbassa in Africa? Mi ritrovo a pensare ai navigatori e viaggiatori di un tempo che avevano nella volta celeste il loro “navigatore satellitare”. Rientro e chiudo gli occhi ma continuo a vedere le stelle, poi diventano gli occhi dei pazienti che mi guardano, poi i denti bianchissimi del sorriso dei bambini…
Ciao Mari, come stai? Io sto bene al caldo, mentre voi lì congelate a -15 gradi. Finalmente riesco a connettermi con casa, parlare con moglie e figli e sapere che c’è stato il terremoto ed è arrivato l’inverno. A casa stanno bene, sono contento di averli sentiti. I fili dei sentimenti sono molto tirati a 6.000 km di distanza.
Oggi ho sala operatoria programmata. Davanti all’ ingresso del blocco operatorio il selciato di cemento dei corridoi delle verande è ricoperto di escrementi di capre! Mi arrabbio. Pretendo che venga tutto ripulito in fretta. Gli infermieri e gli inservienti si danno da fare con rapidità, ma non è colpa loro. L’ospedale è un caravan serraglio di animali in libertà: mucche, asini, capre, maiali, galline, gatti e cani malconci. Parte di questi animali sono proprietà dei parenti al seguito dei malati. Qui funziona così: i malati, giovani e anziani, sono seguiti dai familiari che li accudiscono senza abbandonarli un solo momento (ma non eravamo noi europei il popolo civile e gli africani i selvaggi?). Sono i parenti che preparano il cibo per i pazienti ricoverati. Per far questo si accampano per giorni nei dintorni dell’ospedale con le vettovaglie portate da casa e con qualche animale al seguito magari domestico (vedi cani e gatti) o per uso alimentare (vedi galline). Questi animali scorazzano liberamente nei prati tra i reparti, inseguiti a volte dai bambini che si divertono alle loro spalle. Un povero cane magrissimo sta fuggendo da 3 bambini che lo tormentano tirandogli i sassi … forse ha rubato loro un boccone di cibo! Il Dr. Pratesi mi racconta che questo è un tema in agenda da tempo ma di difficile risoluzione. Si sta cercando di trovare uno spazio per uomini e animali al seguito. Qui tutto diventa un problema ma per gli africani non sembra così grave: forse hanno ragione loro. Senza cibo e senza famiglia i pazienti peggiorerebbero rapidamente. Forse allora val bene la pena di sopportare qualche caccola di capra sul corridoio.
Maddalena mi chiama ancora; mi chiede se controllo una mamma che è da 3 giorni in pediatria con il bambino malato di polmonite. Sembra più malata lei del figlio: ha una gravidanza extra-uterina in atto, cioè fuori dall’utero con una emorragia grave. E’ così da 3 giorni, con forti dolori all’addome ma non diceva nulla perché il suo bambino stava male. Per fortuna siamo ancora in tempo: perderà solo un ovaio ma potrà ancora avere figli. E’ forte, si riprende in fretta e anche il piccolo guarisce bene. Questa volta è andata bene. Siamo contenti, stasera festeggiamo: Cristina ci ha preparato gallina e patate arrosto. Ci sta anche una birretta.
Per la prima volta abbiamo 1 ora per fare un giro a piedi. Che meraviglia poter camminare un po’! Passiamo la chiesa e andiamo verso il fiume che in questo periodo dell’anno è molto asciutto. Il Cunene, regione del Sud dell’Angola, è un altipiano sui 1000-1200 metri d’altezza, con terreno argilloso; quando piove tutto diventa palude: il fiume di 30 metri di larghezza diventa 5 km. Ci sono dei bambini che fanno il bagno nelle pozze d’acqua, mamme che lavano i vestiti, donne e ragazze che portano secchi e brocche d’acqua sulla testa. Mi sono sempre chiesto da cosa derivi il portamento regale delle donne africane. Mi passa davanti una ragazza con una bottiglia di plastica da mezzo litro sulla testa che si gira come se niente fosse e la bottiglia resta perfettamente in equilibrio : un gioco di prestigio. E’ un’armonia perfetta tra il tronco, le gambe, le spalle, il collo e la testa : crescono così fin da piccole.
Arriva una moto, ci sono due infermieri a bordo. Sono venuti a chiamarmi (sapevano dove stavo andando), dicono che c’ è un problema in maternità. Ok, si rientra in fretta, altro cesareo. Tutto bene : esce il bambino, respira bene, piange con vivacità. Improvvisamente si spengono le luci: si è rotta la lampada scialitica. Le luci della sala non bastano, ho la pancia aperta e l’utero aperto, devo ancora togliere la placenta e non vedo più niente. Ricorro alla luce frontale che ho portato da casa e che uso in bicicletta e a 2 pile potenti che altrettanti infermieri imbracciano appollaiati dietro alle mie spalle. Ce la facciamo, alla fine va tutto bene, ma sono sudato. Era l’ultima lampada scialitica funzionante, da adesso non ne abbiamo più.
Passo il resto del pomeriggio con Marco a controllare i “relitti” delle altre lampade che hanno fatto la stessa fine, le batterie all’interno non ci sono più da anni, i circuiti sono stati by-passati artigianalmente per consentire un qualche funzionamento, in poche parole inutilizzabili. Come facciamo? Senza lampada è veramente impossibile operare. Marco escogita una soluzione ingegnosa, utilizza un carica batterie che trasforma la corrente dell’impianto erogata a 220 volts in 12 volts. Questa soluzione ci permette di usare la “scialitica” che funziona con lampadine a 12 volts. C’ è un inconveniente: i fili sono agganciati ai morsetti del carica batterie completamente scoperti e al minimo movimento si perde il contatto. Proviamo, è rischioso ma si può fare. Del resto non abbiamo alternative, se non trasferire i pazienti urgenti in altri ospedali; il più vicino è a Ondjiva, a circa 2 ore di auto su strade sterrate piene di buche.
Di nuovo maternità: questa volta la donna è arrivata troppo tardi, dopo 2-3 giorni di tentativi di partorire a casa. Non si sente il battito cardiaco del feto,faccio un ecografia e si conferma la morte intra uterina. Ancora peggio: c’è una placenta previa, cioè la placenta è sulla via d’uscita del feto. Se partono le contrazioni rischia un emorragia gravissima. Giusto il tempo di pensarlo e le contrazioni cominciano davvero. Fare un taglio cesareo per un bambino morto è una brutta esperienza, però almeno la vita della mamma è salva.
Oggi si festeggia: Maddalena, la pediatra, sta per rientrare in Italia e ha organizzato un piccolo party in reparto. Lei e Susanna gonfiano quei palloncini che spesso si vedono alle fiere anche da noi, sono lunghi e stretti e li puoi modellare in varie forme. I bambini sono tutti lì ma non si accalcano, non gridano, non pretendono … aspettano che venga il loro turno per averne uno. Madò (la piccola con il dito amputato) mi salta in braccio. Tutte le volte che mi vede sembra mi voglia ringraziare ... e io le ho portato via un dito!
Seconda uscita: abbiamo 1 ora per andare al mercato grande del villaggio di Chiulo, sono circa 2 km che facciamo volentieri a piedi. Quando arriviamo ci tuffiamo tra le bancarelle coloratissime di tessuti, bibite, barattoli e un po’ di frutta (finalmente). Dura poco: c’è un ragazzo per terra incosciente con la bava alla bocca davanti ad un chiosco che vende bibite. Puzza di alcool, lo conoscono e dicono che è sempre ubriaco, è un poveraccio. Nessuno si muove; forse hanno ragione loro ma non riusciamo a far finta di nulla … potrebbe aver avuto delle convulsioni. Chiamiamo l’ambulanza dell’ospedale e lo trasferiamo in un letto per osservarlo: fine della passeggiata. Ho fatto in tempo a comperare delle arance. Vado verso casa, passo davanti alla pediatria e incontro Madò, le regalo un’arancia. Mentre la mangia con la gioia negli occhi mi vengono in mente troppi pensieri, troppi paragoni e mi si stringe la gola; meglio tornare rapidamente in casa, non sta bene piangere alla mia età.
Ormai è quasi finita, sono gli ultimi giorni. Questa domenica mi piacerebbe finalmente assistere alla S. Messa. Mi chiamano in ospedale alle 6 : un carcerato muore per l’ AIDS e la TB, non posso far nulla di più che assisterlo. Rientro intorno alle 9.30, la Messa degli adulti è già finita, però c’è quella dei bambini alle 10.30. Ci vado. Sono nell’ultima fila e ascolto le belle voci del coro che canta quasi ad ogni passaggio del cerimoniale, la predica è in portoghese: incredibile, capisco quasi tutto! Però è facile, è la parabola del lebbroso guarito da Gesù. Il prete fa il paragone con i malati ricoverati in ospedale, è una bella predica, semplice e diretta e usa parole ed esempi concreti che possono capire anche i bambini. Che bello, capisco il portoghese di livello infantile!
Ultimo giorno. Sono morto di stanchezza, l’ esperienza è stata molto intensa, non solo fisicamente; forse ancora di più per l’impegno emotivo. Ho davanti agli occhi centinaia di volti e voci che chiedono aiuto sommessamente, senza urlare né protestare, per ritardi o presunte incompetenze o mancanze. Ho voglia di dormire, domani parto alle 7.
Solita chiamata delle 2 di notte: anche l’ultimo giorno, maledizione! C’è una bambina di 7 mesi che sta molto male. Mi ricordo che Marco mi ha accennato al problema, questa mattina l’aveva ricoverata dopo aver diagnosticato una infezione respiratoria. Durante la visita aveva notato delle escoriazioni sul corpo, ha avuto un sospetto e ha fatto eseguire il test per la sifilide alla madre: positivo! Dopodichè ha fatto eseguire il test per HIV (AIDS): positivo! Conclusione: la bambina era affetta da polmonite come complicazione su sifilide e AIDS. Bravo Marco!
Mi cambio, afferro la pila e mi avvio. Passo zig-zagando tra i materassini e le stuoie dove dormono i parenti sulle verande, imbocco il corridoio verso la pediatria e nel cono di luce fatto dalla pila mi ritrovo a 1 metro da una grossa vipera arrotolata sul cemento! Mi si gela il sangue, ma subito mi accorgo che non si muove, è in una posizione poco naturale: è appena stata ammazzata dagli infermieri che sono venuti a chiamarmi. A guardarla da vicino è molto bella: la pelle è coperta da disegni triangolari di un colore che varia dal beige al marrone chiaro all’ocra, in perfetta tenuta mimetica per gli arbusti della savana. Questi “animaletti” hanno denti lunghissimi fino a 2 cm e in doppia fila. Così se dovessero spezzarsi i primi, infilati in qualche grossa preda che si dibatte, ecco pronti i secondi a salvare il povero animale dalla morte per fame. Ora finalmente capisco quella donna che mi raccontava di essere stata morsa nel sonno. La vipera era distante meno di 5 metri dalle persone che dormivano sulla veranda; di notte la temperatura scende e i rettili cercano volentieri le aree più calde.
Arrivo ancora un po’ scosso dalla bambina: è bellissima! Una bambolotta nera con i riccioli decorati da perline, occhioni grandi e spalancati, ma sta davvero male, rantola e ha le estremità cianotiche. Dovrei fare accendere il generatore per darle un po’ di ossigeno. Se accendiamo il generatore durante la notte c’ è il rischio che il motore, già molto usurato, non ce la faccia e così saremmo senza elettricità in tutto l’ospedale per un bel po’, forse settimane, forse mesi. Mentre sto combattendo con me stesso, lei mi toglie il disturbo: se ne va, lieve come un angelo.
Così ho chiuso con Chiulo: immagini di dolore e di speranza, disperazione e gioia. Dell’Angola ho visto davvero poco … ma questo “spezzone” di film vissuto mi ha raccontato tanto sulla gente che abita li, nel Sud del paese. Gente che conduce un’esistenza difficile con grande dignità. Non ho assistito allo spettacolo miserevole della richiesta di soldi a tutti i costi (come succede altrove) solo perché hai la pelle bianca e vesti meglio di loro. Questo mi dà una grande speranza che un popolo così possa farcela ad uscire dalla miseria. Noi, Medici con L’Africa, vogliamo stare con loro.
Dr. Massimo Brenna
Medici con l’Africa Como - Onlus
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