lunedì 23 ottobre 2017

Ore da dimenticare (ma che non dimenticherò)

Sabato sera, tutti noi del Cuamm come al solito siamo a cena insieme: pizza in tante varietà, acqua fresca ma anche qualche birra piccola. Infine un dolce fatto in casa e qualche quadretto di cioccolata portata dall'Italia: essì, è una vita di privazioni!
Ma mi chiamano dalla sala parto e lí trovo tutti e 3 i letti da parto pieni, una donna seduta in sala parto su una sedia e un’altra seduta fuori, nella veranda, sulla panca dove di giorno aspettano le donne per il consultorio ostetrico. 
Entrando nella sala dalla veranda, la donna nel primo lettino, Veronica, al primo parto, smaniava ed era agitatissima, tenuta ferma con difficoltà da ben 3 sue familiari. Teresa, una delle 2  ostetriche di turno, mi chiede di usare la ventosa per aiutarla a partorire perché il parto stava durando troppo dato che, essendo così agitata, la giovane non coordinava le spinte con le contrazioni dell’utero. 
Intanto però le altre due partorienti stavano partorendo e le ostetriche hanno dovuto dedicarsi a loro e ai loro figli, lasciando Veronica ad agitarsi.
Ma dal reparto arriva, piegata in due per i dolori, anche Conceição, una 35enne con vari figli e l’AIDS molto avanzato, ormai magrissima, da settimane ricoverata in Maternità per polmonite e pleurite, con frequenza cardiaca e respiratoria molto alte e che non pensavo riuscisse a sopportare gli sforzi del parto. Invece approfitta del letto di mezzo, lasciato libero dalla più rapida delle 2 partorienti, ci sale da sola, si spoglia, fa il figlio, le esce pure la placenta, raccoglie il neonato, lascia la placenta, si riveste e, aiutata da una parente, se ne torna in reparto i 7 minuti e senza un lamento. Anzi respira pure meglio. Aveva giá ricevuto due dosi extra di anti-retrovirale e presto il neonato riceverà un apposito sciroppo per prevenire la trasmissione del virus anche a lui.
L’ostetrica pulisce il meglio possibile il lettino e il pavimento sottostante (c'era un AIDS!), svuota il grosso vassoio che scorre sotto il lettino e il tutto è pronto per un’altro parto. Intanto io ho cambiato i guanti non sterili, da esplorazione, una decina di volte, per passare a valutare piú volte le varie donne in travaglio.
Bernarda, la donna dell’ultimo lettino, quello in fondo, verso la finestra, partorisce a sua volta; era alla 42ª settimana e le avevamo indotto il parto per timore che il feto soffrisse a causa dell’invecchiamento della placenta.  Ma dopo il parto e il secondamento della placenta, l’emorragia sembra più intensa del solito e, su richiesta dell’ostetrica, metto i guanti sterili e valuto le condizioni del collo uterino: è molle e ha il margine molto irregolare, slabbrato, a causa del parto appena avvenuto ma non mi sembra di sentire lacerazioni.


L'ostetrica Teresa in un'altra occasione in cui c'erano 3 parti in contemporanea. Il lettino in primo piano è quello più vicino alla finestra, quello occupato da Bernarda; il 2ª lettino, con la donna col vestito multicolore, è quello usato da Conceição; il 3º, oltre il telo celeste, è quello più vicino all'ingresso dalla veranda (che non si vede) ed era occupato da Veronica; si vede bene l'ingresso dal reparto Maternità, dal quale entra Conceição quando sente imminente il parto.



Quindi finalmente possiamo dedicarci alla giovane agitata; chiedo di tagliarle il perineo per poter applicare la ventosa senza poi lacerarla. L’ostetrica prima fa un’anestesia locale,  lascia passare  qualche minuto perché l'anestetico faccia effetto e poi taglia con le apposite forbici. Applico la ventosa, l’ostetrica aspira l’aria con la pompa in modo che la ventosa si fissi al capo del bebè, tiro e in pochi minuti tutto è finito con sollievo della mamma, che smette di agitarsi, ma anche delle sue parenti e di tutti noi della Maternità. Teresa ricuce il taglio.


La ventosa ostetrica è formata da una pompa tipo bicicletta (a sinistra) ma con la valvola interna invertita per cui aspira l'aria. Una bottiglia per il vuoto con sopra una manometro (al centro) per verificare che la depressione sia dell'entità giusta. Una coppetta di metallo o silicone (a destra) da applicare alla testa del feto; tra la coppetta e la bottiglia c'è la maniglia da afferrare per tirare la coppetta (e la testa); tra maniglia e coppetta c'è una catenella o nel tubo o all'esterno del tubo(nel riquadro).




Torna quindi la calma e le due ostetriche si dedicano ad una pulizia più accurata della sala parto e degli strumenti usati (di notte non ci sono gli addetti alle pulizie). Manca l’acqua (da settimane) e Pedro, il marito di Bernarda ma anche capo-guardiano dell’Ospedale, viene mandato nelle case Cuamm a prenderne un secchio.
Presto toccherà alle due donne finora sedute.
Torno a casa e finalmente mi metto a letto. Ma poco dopo le 23, quando ormai il generatore è stato spento, gracchia di nuovo la radio: si capisce solo “dr. Marco” e “emorragia”. Ho capito, mi vesto, mi studio rapidamente le istruzioni su cosa fare in caso di emorragia post-partum (mica sono un ginecologo, io!) e corro in Sala Parto, dove trovo il disastro: Bernarda è in un lago di sangue! La normale emorragia del parto non si è fermata, anzi: c’è sangue su tutto il lettino e per terra; l’ostetrica Cristina sta facendo una compressione bi-manuale dell’utero, cioè con la destra a pugno, nella vagina, comprime il collo dell’utero contro la sinistra che invece spinge su fondo dell’utero dall'esterno, sulla parete addominale, poco sotto l’ombelico. Dopo essermi letto le preziose “istruzioni”, mentre prendevo lampade, radio, cellulare ecc., Bianca aveva prelevato dal nostro deposito sia dei farmaci per far contrarre l’utero sia dei farmaci coagulanti e cosi in Sala Parto li usiamo tutti ... di più non abbiamo. Poi di corsa in Sala Operatoria dove intanto si era materializzata l’anziana ma inossidabile infermiera Felismina al posto dell’infermiera Ilda, che doveva essere di turno ma non si era presentata.
Decidiamo di non trasferire Bernarda all'Ospedale Centrale di Ondjiva (ci vuole 1 ora e mezza ... non ci arriverebbe viva), attiviamo la laboratorista Josefa, che subito fa il gruppo sanguigno e rimedia due sacche di sangue compatibili, Felismina induce l’anestesia generale e con l’aiuto della solita Cristina iniziamo a cercare la lacerazione.
A dire il vero la lacerazione la individuano loro che hanno l’occhio allenato: Felismina é l'infermiera che sutura tutte le ferite degli incidenti più vari, Cristina sutura i tagli che fa con le forbici e le lacerazioni spontanee dei perinei delle partorienti. Grazie alle loro indicazioni, grazie a Cristina che tiene i divaricatori e a Felismina che continua l’anestesia generale iniettando anestetico ogni pochi minuti ma che anche mi passa gli strumenti e i fili di sutura man mano che servono; grazie alla lampada scialitica della sala operatoria ma anche alla lampada frontale da ciclista che avevo io e non si è esaurita per tutto il tempo; in oltre un’ora di lavoro, con Cristina in ginocchio alla mia sinistra che si appoggiava alla mia coscia, con la mia mano sinistra che tremava incontrollabile e dovevo appoggiarla alla coscia di Bernarda per poter reggere la pinza mentre con la destra mettevo alla bell'e meglio i punti, alla fine abbiamo quasi fermato l’emorragia, nel senso che usciva ancora un minimo rivolo di sangue. Felismina ha poi introdotto a forza nel canale del collo dell’utero una garza sterile che facesse da tampone contro l’area dell’emorragia e poi abbiamo aspettato ... ore, continuando a controllare il sanguinamento sempre più esiguo, la frequenza cardiaca che tendeva a normalizzarsi, le trasfusioni di sangue e le flebo per sostituire il sangue perso, sempre col timore che l’emorragia riprendesse vigore.
Per non perdere tempo e restare sveglia, l’ottima Felismina si è messa a pulire la Sala Operatoria, sempre col problema che l’acqua arriva con i secchi, usando a mano stracci davvero ridotti a stracci e delle bacinelle ormai crepate in più punti, per cui devono essere tenute inclinate sennò si spargono i luridi liquami che contengono (nei prossimi giorni gliene compreremo di nuove: quelli della Chirurgia se lo meritano).


L'angolo lavabi della Sala Operatoria: i 2 lavandini non hanno piú acqua dai rubinetti e quando ci si lava prima di un'operazione, un infermiere attinge dell'acqua non potabile dal bidone bianco con una mezza bottiglia di plastica (che diventa così una specie di caraffa) e la versa poi sulle mani del chirurgo per sciacquarle.
A sinistra si intravvede Bernarda distesa sul lettino dopo l'operazione e, accucciata accanto a lei, Felismina, che inganna il tempo facendo le pulizie.



Finalmente alle 5,30, mentre il cielo fuori cominciava prima a schiarirsi e poi rapidamente tornava la consueta giornata abbagliante, abbiamo deciso che poteva andare bene così e abbiamo rimandato Bernarda in Maternità, con Pedro che ringraziava in modo commovente perché tutti avevano capito la gravità della situazione e gli sforzi fatti per salvare Bernarda. 






Durante la notte Cristina ha ceduto alla stanchezza. A sinistra la bacinella crepata (si intravedono alcune crepe, nere, vicino al bordo, in alto a destra) che deve essere usata inclinata per non spargere nuovamente i liquami raccolti.






Bernarda ce l’ha fatta e si è portata a casa questo 5º figlio. Mi sono raccomandato con Pedro che la facciano stare a riposo in modo che per un mese non si sottometta a tutte le pesanti incombenze quotidiane delle donne di qui.
Alcuni giorni fa, dopo aver avvisato della mia intenzione, ho lasciato la Maternità ai colleghi angolani, che pare se le stiano cavando bene, anche loro con l’aiuto delle nostre esperte ostetriche. Io così posso tornare a fare il consulente della Direzione dell’Ospedale. Il 2 novembre dovrebbe tornare il chirurgo Giorgio e tutto dovrebbe tornare alla normalità, senza i tanti trasferimenti a Ondjiva che abbiamo dovuto richiedere in queste settimane e i rischi che le inconsapevoli donne hanno corso quando ero io a occuparmi di loro.
Quindi i miei prossimi racconti non dovrebbero più essere così drammatici.
Un caro saluto a tutti.

Marco

sabato 7 ottobre 2017

Gli imprevisti dei parti

Per ora ancora non si sa esattamente se e quando Giorgio (o un qualche altro chirurgo o ginecologo) tornerá a Chiulo. Per fortuna ancora non ci sono state chiamate per cesarei o gravidanze ectopiche d’urgenza. Ho trasferito molte donne a rischio di cesareo, soprattutto perché avevano giá avuto in passato uno o piú cesarei e quindi erano a rischio di rottura d’utero quando poi si prova a farle partorire per via naturale. Le mandiamo all'Ospedale centrale della nostra Regione, a Ondjiva: lí hanno chirurghi e ginecologi ma non hanno il resto per cui quando trasferiamo qualcuno dobbiamo mandargli 5 paia di guanti chirurgici sterili, mettere al paziente una flebo endovena, fargli l'esame del sangue e il gruppo sanguigno!
Ma c’é stato bisogno di varie applicazioni di ventosa, perché il parto si prolungava in modo pericoloso, e di qualche raschiamento uterino per aborto incompleto. Ormai con la ventosa mi giostro abbastanza bene ma una delle volte si é conclusa davvero male: il neonato é nato morto e non siamo riusciti a rianimarlo; in un altro il cuore batteva ma non respirava e anche lui l’abbiamo rianimato a lungo: alla fine ha cominciato a respirare autonomamente ma sembra che abbia anche lui avuto dei  danni cerebrali a causa del parto troppo prolungato ed é morto dopo 5 giorni ... insomma davvero difficile.
C’é anche stato un avvenimento tragico e invito chi non sopporta cose troppo truculente a saltare la parte in corsivo di questo paragrafo. E´successo questo. Una donna a termine dell’11ª gravidanza, quindi con un utero stanco, sfibrato, dopo aver tranquillamente passato la giornata chiacchierando e passeggiando intorno alla sua casa, qui vicino, la sera si é messa a letto (= una coperta per terra nella sua capanna) e improvvisamente ha cacciato un urlo. I familiari, immediatamente accorsi, l’hanno trovata esanime, apparentemente morta; quindi in 4 l’hanno afferrata e l’hanno portata di corsa in Ospedale, distante poche centinaia di metri.
Arrivata in Sala Parto le 2 ostetriche di turno mi hanno immediatamente chiamato via radio perché anche loro convinte che la donna fosse morta; erano le 19.30. Arrivato dopo 10 minuti, anche io e le 2 allieve ostetriche (1 di Roma e 1 del Napoletano) abbiamo confermato: niente battito cardiaco, pupille dilatate e fisse. Per scrupolo ho chiesto all’ostetrica di controllare se ci fosse battito cardiaco fetale e quella, con un apparecchietto digitale, con sorpresa mi ha mostrato che il battito c’era, lento (72/minuto) ma c’era!
Allora siamo corsi con la barella a rotelle fino alla Sala Operatoria. Lí l’infermiera anestesista Felismina e la ferrista Ilda hanno aperto un pacco di ferri sterili per i cesarei, io ho indossato solo guanti e grembiule di plastica, senza lavarmi (tanto era morta) né mettermi camice-mascherina-cuffia, lasciando la donna sulla barella; Ilda mi ha dato una lama di bisturi che ho cercato inutilmente di fissare al manico, la lama é caduta per terra, l'ho raccolta (tanto era morta) ma continuava a non fissarsi; allora Felismina ha fatto apparire un raro bisturi monouso e subito incido la pelle dall’ombelico al pube. Arrivato alla cavitá addominale ne é escita una grande quantitá di sangue e coaguli; per vedere l’utero, io e Ilda abbiamo cominciato a portar via manciate di sangue e coaguli gettandoli in una bacinella tra le gambe della donna perché l’aspiratore non l’avevamo attivato per guadagnare tempo. Finalmente emerso l’utero l'ho inciso come in un normale cesareo, arrivato al feto, l´ho tirato fuori e l´ho passato alle allieve ostetriche e alle specializzande in pediatria, che intanto erano arrivate: forse il cesareo piú rapido della storia! Con piú calma, sempre assistito da Ilda, ho richiuso la parete addominale per restituire al meglio la donna alla famiglia.
Intanto specializzande e allieve cercavano di rianimare il neonato: il cuore batteva ancora e pian piano é tornato ad avere una frequenza alta, normale nei neonati. Ma non respirava, non ha mai respirato. Ogni tanto un breve, rapido e superficiale respiro (il c.d. gasping) ma niente di piú. Dopo 45 minuti di rianimazione abbiamo lasciato perdere: abbiamo avvolto il bimbo in una coperta che i parenti avevano portato e lo abbiamo trasferito in Pediatria, dove c’é una culla riscaldata, spiegando peró alla famiglia che non solo la donna era morta, probabilmente per una improvvisa rottura dell’utero, indebolito dalle troppe gravidanze, ma che anche per il figlio non c’era niente da fare: il cuore batteva, ogni tanto faceva un respiro, ma dovevano giá considerarlo morto anche lui; uno dei parenti gli doveva restare accanto fino alla fine per poi prenderselo e fargli il funerale con la madre.
Quindi tutti insieme, espatriati, infermiere, ostetriche e la trentina di familiari che intanto si erano raccolti nei corridoi aperti intorno alla sala operatoria, abbiamo portato il corpo della madre nella Camera Mortuaria, attraversando nella notte i prati che la separano dall’Ospedale, illuminando con le torce elettriche il sentiero a scanso di incontri con le vipere, attualmente piuttosto numerose.
I familiari si sono comportati con grande dignitá: Felismina, la piú anziana delle infermiere, ha spiegato a tutti quel che era successo e la famiglia lo ha accettato senza recriminazioni, manifestando riconoscenza per il tentativo fatto in favore del bambino. Ben diverso avviene in Italia per molto meno. Comunque tutti noi dell’Ospedale eravamo sí molto tristi ma anche soddisfatti per lo spirito di squadra, la rapiditá e l’impegno da tutti dimostrati: abbiamo fatto del nostro meglio in tutte le fasi e abbiamo cercato di dare una possibilitá al bambino (i feti e i neonati a volte sorprendono per la loro vitalitá), purtroppo inutilmente. Resta il dubbio che forse avremmo fatto meglio a lasciarlo morire in pochi minuti nella madre e non dopo 5 ore in Pediatria.
Altri imprevisti minori: mai mettersi davanti ad una donna che, dopo aver partorito il figlio, deve ancora espellere la placenta: a volte viene fuori il tutto a tappo di spumante, imbrattando di sangue chi c’é davanti, tanto da farlo sembrare uno di quegli assassini che poi depezzano la vittima con la sega elettrica ... e poi é pure difficile lavar via il sangue senza lasciare macchie!
Stavolta aggiungo una foto notturna di Teresa, l’ostetrica che porta sempre con sé il figlioletto, o in braccio, magari per allattarlo, o sulla schiena, quando ha le mani impegnate p.es.durante l’assistenza ad un parto, come si vede nella foto.

  L'ostetrica Teresa segue un parto notturno, 
col figlio sulla schiena a cui non fa mai toccare terra.



Con una media di 6 parti al giorno, non é raro avere tutt'e tre i letti da parto occupati. 
Ma Fernanda, come le altre 7 ostetriche di Chiulo, non perde mai la testa.



Aggiungo che da mesi, per continui guasti alle pompe dei pozzi, non abbiamo l’acqua in ospedale, neanche nei pochi lavandini dove riusciva ad arrivare: l’acqua viene portata con i secchi nei reparti e anche in sala operatoria, prima delle operazioni, ci si deve “lavare” mani e avambracci con acqua che un ausiliare prende da un bidone con una mezza bottiglia di plastica e che poi lascia gocciolare sulle mani da lavare, per poi farla finire in una bacinella ... forse in tempo di guerra una situazione del genere si puó accettare, ma dopo 17 anni di pace é davvero incredibile essere ancora in queste condizioni. Forse fa bene Teresa a tenersi il figlio sempre addosso e mai lasciarlo gattonare sul pavimento della Maternitá!
Un caro saluto a tutti.

Marco