Sabato sera, tutti noi del Cuamm come al
solito siamo a cena insieme: pizza in tante varietà, acqua fresca ma anche qualche birra
piccola. Infine un dolce fatto in casa e qualche quadretto di cioccolata portata
dall'Italia: essì, è una vita di privazioni!
Ma mi chiamano dalla sala parto e lí trovo
tutti e 3 i letti da parto pieni, una donna seduta in sala parto su una sedia e
un’altra seduta fuori, nella veranda, sulla panca dove di giorno aspettano le
donne per il consultorio ostetrico.
Entrando nella sala dalla veranda, la donna
nel primo lettino, Veronica, al primo parto, smaniava ed era agitatissima,
tenuta ferma con difficoltà da ben 3 sue familiari. Teresa, una delle 2 ostetriche di turno, mi chiede di usare la
ventosa per aiutarla a partorire perché il parto stava durando troppo dato che,
essendo così agitata, la giovane non coordinava le spinte con le contrazioni
dell’utero.
Intanto però le altre due partorienti stavano partorendo e le
ostetriche hanno dovuto dedicarsi a loro e ai loro figli, lasciando Veronica ad agitarsi.
Ma dal reparto arriva, piegata in due per i dolori, anche Conceição, una 35enne con vari figli e l’AIDS molto avanzato, ormai magrissima, da settimane ricoverata in Maternità per polmonite e pleurite, con frequenza cardiaca e respiratoria molto alte e che non pensavo riuscisse a sopportare gli sforzi del parto. Invece approfitta del letto di mezzo, lasciato libero dalla più rapida delle 2 partorienti, ci sale da sola, si spoglia, fa il figlio, le esce pure la placenta, raccoglie il neonato, lascia la placenta, si riveste e, aiutata da una parente, se ne torna in reparto i 7 minuti e senza un lamento. Anzi respira pure meglio. Aveva giá ricevuto due dosi extra di anti-retrovirale e presto il neonato riceverà un apposito sciroppo per prevenire la trasmissione del virus anche a lui.
L’ostetrica pulisce il meglio possibile il lettino e il pavimento sottostante (c'era un AIDS!), svuota il grosso vassoio che scorre sotto il lettino e il tutto è pronto per un’altro parto. Intanto io ho cambiato i guanti non sterili, da esplorazione, una decina di volte, per passare a valutare piú volte le varie donne in travaglio.
Bernarda, la donna dell’ultimo lettino, quello in fondo, verso la finestra, partorisce a sua volta; era alla 42ª settimana e le avevamo indotto il parto per timore che il feto soffrisse a causa dell’invecchiamento della placenta. Ma dopo il parto e il secondamento della placenta, l’emorragia sembra più intensa del solito e, su richiesta dell’ostetrica, metto i guanti sterili e valuto le condizioni del collo uterino: è molle e ha il margine molto irregolare, slabbrato, a causa del parto appena avvenuto ma non mi sembra di sentire lacerazioni.
L'ostetrica Teresa in un'altra occasione in cui c'erano 3 parti in contemporanea. Il lettino in primo piano è quello più vicino alla finestra, quello occupato da Bernarda; il 2ª lettino, con la donna col vestito multicolore, è quello usato da Conceição; il 3º, oltre il telo celeste, è quello più vicino all'ingresso dalla veranda (che non si vede) ed era occupato da Veronica; si vede bene l'ingresso dal reparto Maternità, dal quale entra Conceição quando sente imminente il parto.
Quindi finalmente possiamo dedicarci alla
giovane agitata; chiedo di tagliarle il perineo per poter applicare la ventosa
senza poi lacerarla. L’ostetrica prima fa un’anestesia locale, lascia passare qualche
minuto perché l'anestetico faccia effetto e poi taglia con le apposite forbici. Applico la ventosa, l’ostetrica aspira
l’aria con la pompa in modo che la ventosa si fissi al capo del bebè, tiro e in
pochi minuti tutto è finito con sollievo della mamma, che smette di agitarsi,
ma anche delle sue parenti e di tutti noi della Maternità. Teresa ricuce il taglio.
La ventosa ostetrica è formata da una pompa tipo bicicletta (a sinistra) ma con la valvola interna invertita per cui aspira l'aria. Una bottiglia per il vuoto con sopra una manometro (al centro) per verificare che la depressione sia dell'entità giusta. Una coppetta di metallo o silicone (a destra) da applicare alla testa del feto; tra la coppetta e la bottiglia c'è la maniglia da afferrare per tirare la coppetta (e la testa); tra maniglia e coppetta c'è una catenella o nel tubo o all'esterno del tubo(nel riquadro).
Torna quindi la calma e le due ostetriche si
dedicano ad una pulizia più accurata della sala parto e degli strumenti usati (di
notte non ci sono gli addetti alle pulizie). Manca l’acqua (da settimane) e
Pedro, il marito di Bernarda ma anche capo-guardiano dell’Ospedale, viene mandato nelle case Cuamm a prenderne un secchio.
Presto toccherà alle due donne finora sedute.
Torno a casa e finalmente mi metto a letto. Ma
poco dopo le 23, quando ormai il generatore è stato spento, gracchia di nuovo
la radio: si capisce solo “dr. Marco” e “emorragia”. Ho capito, mi vesto, mi
studio rapidamente le istruzioni su cosa fare in caso di emorragia post-partum
(mica sono un ginecologo, io!) e corro in Sala Parto, dove trovo il disastro:
Bernarda è in un lago di sangue! La normale emorragia del parto non si è
fermata, anzi: c’è sangue su tutto il lettino e per terra; l’ostetrica Cristina
sta facendo una compressione bi-manuale dell’utero, cioè con la destra a pugno, nella vagina, comprime il collo dell’utero contro la sinistra che invece spinge
su fondo dell’utero dall'esterno, sulla parete addominale, poco sotto l’ombelico.
Dopo essermi letto le preziose “istruzioni”, mentre prendevo lampade, radio, cellulare
ecc., Bianca aveva prelevato dal nostro deposito sia dei farmaci per far contrarre
l’utero sia dei farmaci coagulanti e cosi in Sala Parto li usiamo tutti ... di più non abbiamo. Poi di
corsa in Sala Operatoria dove intanto si era materializzata l’anziana ma
inossidabile infermiera Felismina al posto dell’infermiera Ilda, che doveva
essere di turno ma non si era presentata.
Decidiamo di non trasferire Bernarda all'Ospedale
Centrale di Ondjiva (ci vuole 1 ora e mezza ... non ci arriverebbe viva),
attiviamo la laboratorista Josefa, che subito fa il gruppo sanguigno e rimedia
due sacche di sangue compatibili, Felismina induce l’anestesia generale e con l’aiuto
della solita Cristina iniziamo a cercare la lacerazione.
A dire il vero la lacerazione la individuano loro
che hanno l’occhio allenato: Felismina é l'infermiera che sutura tutte le ferite degli
incidenti più vari, Cristina sutura i tagli che fa con le forbici e le lacerazioni
spontanee dei perinei delle partorienti. Grazie alle loro indicazioni, grazie a
Cristina che tiene i divaricatori e a Felismina che continua l’anestesia
generale iniettando anestetico ogni pochi minuti ma che anche mi passa gli strumenti e i fili di sutura man mano che
servono; grazie alla lampada scialitica della sala operatoria ma anche alla
lampada frontale da ciclista che avevo io e non si è esaurita per tutto il
tempo; in oltre un’ora di lavoro, con Cristina in ginocchio alla mia sinistra che
si appoggiava alla mia coscia, con la mia mano sinistra che tremava
incontrollabile e dovevo appoggiarla alla coscia di Bernarda per poter reggere
la pinza mentre con la destra mettevo alla bell'e meglio i punti, alla fine
abbiamo quasi fermato l’emorragia, nel senso che usciva ancora un minimo rivolo
di sangue. Felismina ha poi introdotto a forza nel canale del collo dell’utero
una garza sterile che facesse da tampone contro l’area dell’emorragia e poi
abbiamo aspettato ... ore, continuando a controllare il sanguinamento sempre
più esiguo, la frequenza cardiaca che tendeva a normalizzarsi, le trasfusioni
di sangue e le flebo per sostituire il sangue perso, sempre col timore che l’emorragia
riprendesse vigore.
Per non perdere tempo e restare sveglia, l’ottima
Felismina si è messa a pulire la Sala Operatoria, sempre col problema che l’acqua
arriva con i secchi, usando a mano stracci davvero ridotti a stracci e delle
bacinelle ormai crepate in più punti, per cui devono essere tenute inclinate
sennò si spargono i luridi liquami che contengono (nei prossimi giorni gliene
compreremo di nuove: quelli della Chirurgia se lo meritano).
L'angolo lavabi della Sala Operatoria: i 2 lavandini non hanno piú acqua dai rubinetti e quando ci si lava prima di un'operazione, un infermiere attinge dell'acqua non potabile dal bidone bianco con una mezza bottiglia di plastica (che diventa così una specie di caraffa) e la versa poi sulle mani del chirurgo per sciacquarle.
A sinistra si intravvede Bernarda distesa sul lettino dopo l'operazione e, accucciata accanto a lei, Felismina, che inganna il tempo facendo le pulizie.
Finalmente alle 5,30, mentre il cielo fuori
cominciava prima a schiarirsi e poi rapidamente tornava la consueta giornata
abbagliante, abbiamo deciso che poteva andare bene così e abbiamo rimandato Bernarda
in Maternità, con Pedro che ringraziava in modo commovente perché tutti avevano
capito la gravità della situazione e gli sforzi fatti per salvare Bernarda.
Durante la notte Cristina ha ceduto alla stanchezza. A sinistra la bacinella crepata (si intravedono alcune crepe, nere, vicino al bordo, in alto a destra) che deve essere usata inclinata per non spargere nuovamente i liquami raccolti.
Bernarda ce l’ha fatta e si è portata a casa
questo 5º figlio. Mi sono raccomandato con Pedro che la facciano stare a riposo
in modo che per un mese non si sottometta a tutte le pesanti incombenze
quotidiane delle donne di qui.
Alcuni giorni fa, dopo aver avvisato della mia
intenzione, ho lasciato la Maternità ai colleghi angolani, che pare se le
stiano cavando bene, anche loro con l’aiuto delle nostre esperte ostetriche. Io
così posso tornare a fare il consulente della Direzione dell’Ospedale. Il 2
novembre dovrebbe tornare il chirurgo Giorgio e tutto dovrebbe tornare alla
normalità, senza i tanti trasferimenti a Ondjiva che abbiamo dovuto richiedere in
queste settimane e i rischi che le inconsapevoli donne hanno corso quando ero io a occuparmi di loro.
Quindi i miei prossimi racconti non dovrebbero più essere così drammatici.
Un caro saluto a tutti.
Marco