domenica 18 febbraio 2018

meno 30


Si, ormai qui all’Ospedale di Chiulo, per me e Bianca, siamo agli ultimi giorni, al tramonto della nostra presenza qui: manca poco piú di un mese al nostro rientro definitivo in Italia.


Uno dei tanti spettacolari tramonti di Chiulo


I miei sentimenti sono divisi: da una parte mi rattrista lasciare i colleghi, angolani e italiani, in una situazione cosí difficile, senza restare al loro fianco per trovare soluzioni ai troppi problemi che si accavallano; prevale, peró, il sollievo di non sentirmi piú questa responsabilitá sulle spalle: in molti si rivolgono a me, come rappresentante del Cuamm in loco, ma io non sono il Salvatore, con Bianca abbiamo pagato stipendi per avere qualche infermiera in piú a sostenere il Personale sempre piú scarso, con gli altri colleghi del Cuamm e i loro parenti e amici, abbiamo comprato farmaci, sacche per il sangue delle trasfusioni, reagenti di laboratorio, teli per la sala parto, garze e guanti per le medicazioni, siringhe, fili da sutura, forbici chirurgiche, latte in polvere per neonati orfani … ma non bastano questi nostri sforzi: da soli riusciamo a fare troppo poco.
Purtroppo il Ministero della Salute locale, per via della crisi del petrolio, non manda piú i farmaci, neanche quelli per la tubercolosi che sarebbero un monopolio governativo per impedirne un uso sconsiderato: i pazienti se li comprano nelle farmacie private (ma perché loro ce l’hanno e il Governo no?) e poi li portano in Ospedale dove i nostri infermieri glieli somministrano con la dovuta regolaritá.
Il Dr. Mimmo con uno dei suoi bambini
del Centro Denutriti,
costruito e decorato da Niccoló e Shirin Fabi

E ora una nuova mazzata: gli alimenti terapeutici speciali per i bambini denutriti gravi sono finiti e l’Unicef, che ce li ha sempre dati gratuitamente dal 2011, non ne ha piú né il suo ufficio di Luanda ha notizia di un loro arrivo. E come facciamo con i tanti bambini che ne hanno bisogno? Avevamo creato una rete di 34 centri periferici che assistevano i denutriti consegnandogli questi preziosi pacchetti e ora? Su internet abbiamo trovato le ricette per farceli da soli ma è complicato metter su una “cucina” che prepari queste miscele con i prodotti locali e comunque con quali soldi pagare mais, fagioli o arachidi, olio di semi, latte in polvere, le “cuciniere” che dovrebbero utilizzarli e le migliaia di sacchetti di plastica necessari per la loro distribuzione? Un rompicapo angosciante perché qui non è un rebus da Settimana Enigmistica, qui ci muoiono tanti bambini per denutrizione o per malattie alle quali, malgrado i farmaci, non riescono a reagire per l’estrema debolezza generale; in pratica metá dei bambini denutriti gravi ci muoiono e metá dei bambini che ci muoiono di malaria, diarrea, polmonite ecc. sono anche denutriti gravi.




Il Cuamm, l’ong che ci manda quaggiú, fa il possibile, anticipa i soldi che finanziatori tirchi e disattenti hanno promesso ma tardano a mandarci oltre ogni ragionevole limite, ma oltre un certo punto il Cuamm non puó indebitarsi e cosí i soldi sono sempre pochi, troppo pochi rispetto ai bisogni.
E quindi si, è un sollievo andarsene, smettere di combattere ad armi cosí impari in difesa di una popolazione che ha visto la situazione peggiorare in questi ultimi anni.
Poi in Italia e nei Paesi avanzati ci si lamenta dell’immigrazione: cosa dovrebbe fare la gente di questa parte del Mondo di fronte a questa situazione? Non far niente e lasciar morire i propri coniugi e figli, non potersi permettere di mandare i figli a scuola e destinarli cosí ad un futuro peggiore di quello dei padri? Se la gente avesse una speranza concreta di migliorare pian piano la propria situazione, nessuno lascerebbe famiglia, amici, odori e sapori della propria terra per affrontare le incognite di un’emigrazione in Paesi lontani, tra gente ostile.
E allora torniamo in Italia, con acqua potabile che esce dai rubinetti senza il rischio di prendersi il tifo o il colera, persino calda se si vuole fare la doccia, trovando qualsiasi cosa nei negozi e centri commerciali, p.es. il latte fresco o il pane croccante, persino la frutta e la verdura, che qui, ai limiti del deserto del Namibe scarseggiano; con un Sistema sanitario in via di peggioramento ma che ancora dá molto ai Cittadini, con una Scuola che potrebbe migliorare molto ma alla quale tutti vanno; insomma speriamo che altri, piú distaccati di noi o con risorse superiori, possano portare avanti l’aiuto a questa gente coraggiosa.
A chi giá sta in Italia, è sensibile a questi problemi ma non puó impegnarsi personalmente quaggiú, la conferma che possono fare molto aiutando le ong che, come il Cuamm, trovano ancora qualcuno disposto a lasciare famiglia e amici per qualche anno, emigranti anche loro sebbene spinti da motivazioni diverse e che arrivano in posti come Chiulo dove la gente è tutt’altro che ostile e li aspetta a braccia aperte, sperando che facciano la differenza e che portino quello sviluppo umano ed economico che finora è stato solo una promessa mancata dell’Indipendenza.

Accanto alle cose che vanno male, ce ne sono anche di positive. P.es. abbiamo ottimi rapporti coi medici angolani (e col resto del Personale) e insieme abbiamo festeggiato compleanni, visto film col video proiettore, organizzato pranzi e cene. 

I Dr.i Cinzia e Daniel festeggiano insieme i loro compleanni ma, sorpresa! le candeline sono quelle che si riaccendono da sole.












I festeggiamenti si prolungano con canti e balli fino alle "ore piccole"




1º compleanno di Aurora, la figlia del Dr. Ivo Makonga, direttore sanitario dell’Ospedale. 
La torta é disneyana, come le "orecchie da topo" indossate dai piú piccoli (e non solo)!


Un sabato, per staccare qualche ora dalla routine di Chiulo, siamo andati a far visita alla Missione Luterana di Xangalala, a 45 Km e 90 minuti di viaggio da Chiulo, sostenuta dalla Chiesa Luterana della Finlandia. Abbiamo visitato il loro Centro di Salute, povero ma ben organizzato e ben tenuto dalla formidabile infermiera Davinete.
Vista d'insieme del Centro di Salute della Missione Luterana di Xangalala.

Abbiamo anche avuto la fortuna di incontrare Emmalisa e il marito Ralon, da molti anni in Angola: loro vengono a Xangalala solo 1 settimana al mese e il resto del tempo sono a Lubango, 300 Km a nord-ovest. Quindi il poterli incontrare e conoscere è stato casuale. Ci hanno annunciato che a marzo dovrebbe arrivare una missionaria finlandese che resterá fissa a Xangalala e ci siamo scambiati numeri di cellulare e la promessa di farci visita reciprocamente, per non far sentire questa giovane missionaria troppo isolata.
Per pranzare siamo scesi sulla riva del fiume, sottostante alla Missione: all’ombra di un grande albero ci siamo rilassati e riposati un po’, osservando i bambini che seguivano le mandrie al pascolo e all’abbeverata, una mandria che guadava il grande fiume Kunene, un uomo con la sua piroga che ne seguiva il lento corso.

Accanto al tronco del grande albero,abbiamo allestito il nostro pic nic.
nel Fiume Kunene la presa d'acqua della Missione di Xangalala.


I giovani allevatori che hanno portato la loro piccola mandria ad abbeverarsi nel Fiume Kunene.


Un'altra piccola mandria guada il Fiume Kunene in cerca di pascolo, scortata dal proprietario in piroga.


Infine siamo andati a dire addio al grande baobab di Xangongo, che avevamo giá visitato piú volte e che chissá quante ne ha viste nei suoi molti secoli di vita.

Insomma una bella giornata, praticamente il massimo che Chiulo offra nei suoi dintorni, anche se comunque i “pensieri” restano malgrado la bucolicitá dei luoghi.


Cari saluti a tutti e davvero “a presto”.

Marco Pratesi

sabato 27 gennaio 2018

2 mesi dal ritorno in Italia !

Oltre un mese che non scrivo! Ma in mezzo ci sono state le vacanze di Natale, passate a Torre Pellice, in casa coi figli. E i due faticosissimi viaggi di andata e ritorno attraverso Addis Abeba.
Nell’aeroporto di Luanda, nel settore voli internazionali, hanno allestito numerosi negozi di souvenir e regali vari prima inesistenti: statuette in pietra e legno, carte geografiche, adesivi e bandiere dell’Angola, CD di musica angolana e libri di vario genere in portoghese, casacche e abiti coloratissimi, tipo hawaiano ma con temi in stile africano … insomma si passa piacevolmente il tempo e la prossima volta, al ritorno definitivo in Italia, ne approfitteremo ancor piú di questa volta.
Il viaggio verso l’Italia è stato il peggiore: 3-4 controlli di sicurezza sia a Luanda (fin sotto la scaletta dell’aereo, con un camper munito di RX per i bagagli a mano) che ad Addis Abeba, dove ci hanno fatto uscire dal settore dei voli internazionali a quello dei voli nazionali (1º controllo) e poi siamo dovuti ripassare da quel settore a quello internazionale (altri 2 controlli, togliendo anche le scarpe); peró Bianca e la mamma di una specializzanda in Pediatria che, col marito, erano venuti a Chiulo in visita alla figlia, hanno potuto visitare i negozietti del ricchissimo artigianato etiope.
Al ritorno è andata meglio perché ad Addis non ci hanno fatto uscire dal settore internazionale e quindi abbiamo evitato almeno 2 controlli peró non abbiamo potuto visitare i negozietti: pazienza. Inoltre mi ero portato dei panini imbottiti all’italiana e ho potuto fare a meno degli stomachevoli pasti offerti sui vari aerei (mentre Bianca si sbafava tutto senza vergogna).
Qui la situazione resta la stessa, sempre di grande incertezza. I fondi su cui possiamo contare sono del tutto insufficienti ma è anche vero che siamo solo all’inizio dell’anno e la Provvidenza (tramite il Cuamm) magari interverrá sostanziosamente.
Il progetto che piú ci sosteneva finora è stato sospeso: era finanziato dal Fondo Sovrano dell’Angola (FSDEA: quello alimentato dai proventi del petrolio, diamanti, oro e altre materie prime minerali) ma con l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica il suo consiglio di amministrazione è stato totalmente sostituito ma ancora manca la ratifica delle nomine da parte del Presidente, quindi i progetti come il nostro che non avevano ancora avuto la firma definitiva sono stati sospesi e a questo punto siamo tutti preoccupati: questo finanziamento era essenziale, anche se insufficiente, per le attivitá in ospedale e sul territorio.
Poi in questi giorni si saprá l’esito di un altro progetto presentato dal Cuamm, questa volta alla Conferenza Episcopale Italiana: anche questo è sulla salute materno-infantile e si aggiungerebbe a quello del FSDEA senza peró completarlo: mancherá ancora parecchio per arrivare a fine anno.
Un’altra speranza ci viene dai Lions Club: tramite quello di Torre Pellice, siamo arrivati ad un loro socio molto influente (e sensibile a questi temi!) a livello internazionale che ha invitato il Cuamm a presentare un altro progetto, stavolta sulla lotta alla Tubercolosi, per cui forse riusciremo a comprare un apparecchio radiologico (l’altro si era irrimediabilmente guastato nel giugno 2016) e a comprare un parte dei farmaci e reagenti di laboratorio necessari.
Insomma è un continuo procedere a singhiozzo, con speranze e delusioni.
Resta inoltre l’assenza di un efficace Servizio Tecnico ospedaliero, quello che dovrebbe provvedere alla manutenzione e riparazione degli edifici e dei vari impianti, per cui è un continuo guastarsi di generatori piccoli e grandi, mancanza di acqua generalizzata, mancanza di elettricitá in vari reparti; vengono chiamati tecnici locali, che abitano nelle cittá piú vicine, quindi a 30 o 130 km di distanza) ma questi hanno competenze molto limitate e nessuna conoscenza teorica, e quindi consapevolezza, di quel che fanno quando tirano un fino da qui a lí: tutti contenti se l’elettricitá arriva, senza sapere se il filo ne sta portando troppa e quindi presto brucerá, in un caos sempre piú inestricabile di fili di tutti i colori (mentre per un elettricista vero ogni colore ha un suo preciso significato e lo aiuta nel suo lavoro).
Anche i farmaci sono un problema grave, con un continuo correre a comprare un po’ di quelli piú essenziali: abbiamo comprato anti-tubercolari per un mese ma ora non possiamo comprarne altri perché il progetto del FSDEA è sospeso; sono finiti 2 dei test necessari per fare le trasfusioni, li abbiamo trovati e comprati a Luanda ma da lí non sono riusciti a spedirceli per aereo perché il sistema informatico della compagnia aerea nazionale TAAG non funzionava e quindi non hanno potuto accettarli: io avevo detto di affidarli a un passeggero di buona volontá, spiegandogli di cosa si tratta e facendogli vedere le varie boccette dei reagenti, come si faceva quando ero qui alcuni anni fa; ma i nostri a Luanda non mi hanno dato retta, sembrano incapaci di adattarsi ad una situazione di modernizzazione si ma incerta, zoppicante, dove ancora è necessario chiedere qualche volta la collaborazione di volenterosi, e cosí giá da ieri niente trasfusioni; i reagenti arriveranno martedí (forse) e fino ad allora qualcuno ci potrá rimettere la pelle. E Chiulo è l’unico ospedale che riusciva a fare le trasfusioni, almeno nel Nord Kunene. Il personale infermieristico, non abbastanza valorizzato, sta lentamente diminuendo: un’infermiera è morta in un recente incidente stradale, altre si sono trasferite altrove per motivi di famiglia o per continuare gli studi; io e Bianca ne abbiamo assunte 4, le paghiamo noi attraverso l’ospedale, per dare una mano nei settori dove avevano dovuto sospendere delle attivitá (le importantissime vaccinazioni extra-ospedaliere, il consultorio ostetrico ecc.) ma ce ne vorrebbero una dozzina per ripristinare in pieno i servizi senza costringere il personale a rinunciare a riposi o recuperi, come avviene ora in Maternitá; chiesto al Cuamm, per ora senza risposta: vedremo coi prossimi progetti se potremo permetterci queste assunzioni.
Infine le incomprensioni coi colleghi del Cuamm: tutte queste carenze (farmaci, apparecchi elettromedicali senza elettricitá, raggi X, strumenti chirurgici funzionanti, anestesie “come si deve” ecc.) finiscono col provocare quasi-scontri tra noi, evidenziando le differenti impostazioni tra veterani e chi è alla prima esperienza, tra ospedalieri e territoriali, tra pediatri e altri specialisti, tra chi lavora in Direzione e pensa in termini globali e chi nei singoli reparti e pensa solo a quelli. Anche in passato avevo avuto questa esperienza e anzi in certe occasioni alla fine a stento ci si salutava quando ci si incontrava; stavolta va meglio, forse perché comunque ognuno cerca di non esagerare nella propria posizione, forse perché spesso abbiamo occasione di stare tutti insieme, nella riunione de venerdí pomeriggio e poi per per le tante cene in comune, per le quali si inventano tutte le scuse: parte qualcuno, arriva qualcun altro, c’è un compleanno da festeggiare e cosí via. Quindi ci sono occasioni per manifestare le proprie convinzioni ma anche per smussare i disaccordi e cercare di capire la posizione dell’altro. D’altra parte son tutte brave persone anche se hanno opinioni cosí diverse tra loro e rispetto a quella che teoricamente è la missione del Cuamm. Comunque per mantenere un minimo di equilibrio mentale, abbiamo anche organizzato delle gite di gruppo: una domenica al lago di Manquete (un diverticolo del fiume Kunene, dove i cinesi stanno costruendo enormi risaie) o, come in questo weekend, gite di 2-3 giorni a Lubango (3ª cittá dell’Angola, a 1.700 m s.l.m., con ricca vegetazione, grandi supermercati, ristoranti, negozi di ogni tipo, un mercato ricco di tessuti africani e tanto altro … sembra un altro Paese rispetto al semi-arido Kunene). E poi qualcuno puó aggregarsi a Laura, la medica che lavora sul territorio, e visitare dispensari lontanissimi, passando una giornata interessante e diversa dal solito.
Le risaie, ancora senza acqua; sullo sfondo l'argine artificiale di terra biancastra.
Poi le cime degli alberi del Parco Nazionale, sull'altra riva del Fiume Kunene

Per creare gli argini sono state rimosse grandi quantitá di terra 
ma cercando di salvare i baobab piú grandi
I grandi silos dove verrá conservato il riso

I cooperanti del Cuamm con l'autista Pascoal mentre consumano il pic nic,
in attesa delle formiche

Il lungo Lago di Manquete, parallelo al Fiume Kunene, che lo alimenta

Ormai mancano due mesi scarsi al rientro definitivo in Italia. Da una parte mi dispiace moltissimo lasciare i miei colleghi locali della Direzione dell’Ospedale, del settore Finanze, della Farmacia, i medici angolani ed alcune infermiere, insomma quelli con i quali ho collaborato di piú e che per questo ho potuto apprezzare molto.
Dall’altra la mancanza di un settore tecnico che funzioni, con tutte le conseguenze pratiche nella vita e nel lavoro di tutti i giorni, e le incomprensioni coi colleghi italiani sia qui a Chiulo che con quelli a Luanda e Padova, fanno assolutamente prevalere il desiderio di andarmene da questa situazione cosí stressante, nella quale l’obiettivo non è piú lo sviluppo del personale locale e dell’organizzazione ma appena il prolungamento dell’agonia dell’Ospedale, la sua sopravvivenza di giorno in giorno, in attesa che l’Angola esca dalla crisi economica e il Governo riprenda il suo ruolo di principale partner dell’Ospedale.
Prima della nostra partenza dovrebbe arrivare il medico che mi sostituirá, un anestesista, anche lui accompagnato dalla moglie, un’amministrativa; in questo modo potremo stare un po’ di giorni insieme e fare un discreto passaggio delle consegne: ce n’é davvero bisogno perché sono tante, troppe, le cose da spiegare, le persone da far conoscere nei loro pregi e difetti, insomma le tante informazioni necessarie per partire senza dover riscoprire tutto, quindi senza fare tanti errori, seguiti poi da tante marce indietro.
Un caro saluto a tutti.

Marco

domenica 10 dicembre 2017

Sono agli sgoccioli!

E’ sabato 2 dicembre e finalmente ho un’intera giornata di riposo: con Bianca e la dott.ssa Laura siamo a Lubango, una grossa città 250 Km a nord-ovest di Chiulo e 1.700 m s.l.m., raggiungibile in 3 ore di strada asfaltata in buono stato. Il viaggio è faticoso perché la Toyota Land Cruiser che dobbiamo usare ha i sedili posteriori messi lungo le pareti laterali e chi vi si siede deve viaggiare sempre seduto storto, su sedili duri e scomodi … alla fine si è tutti doloranti, dal collo in giù … un Calvario, non certo una gita riposante.

Praticamente, da quando sono arrivato ad aprile, è la 1° o 2° volta al massimo che ho un’intera giornata di tranquillità: anche nei week end si viene di solito chiamati per qualche problema grande o piccolo:  il generatore grande ha un guasto, le elettropompe nel fiume Mucope non pompano più l’acqua, l’ospedale ha tutti i veicoli guasti e chiede un’auto in prestito per trasferire un malato grave o anche solo c’è bisogno di una tanica di benzina per i generatori piccoli, quelli che vengono accesi quando il generatore grande, a gasolio, è spento per un motivo o per l’altro.

Il letto asciutto del Rio Mucope con i pozzi scavati nelle sue sabbie ricche di acqua, con le tante donne che vanno a prendere l'acqua per casa, lavano sé stesse, i figli piú piccoli e i panni.

 Uno dei pozzi nel Rio Mucope: erano sigillati ma poi la popolazione li ha forati per poter prendere l'acqua usando i secchi pur essendo una pratica sbagliata perché le mani sporche contaminano i secchi che poi contaminano l'acqua del pozzo e cosí si trasmettono tante malattie (diarree varie, tifo, colera, epatite A, vermi intestinali ecc.)

E’ da un po’ che non aggiorno il blog ma il mese che ho dovuto passare in Maternità mi ha stremato: alla fine, visto che il chirurgo dr. Giorgio non riusciva ancora a tornare (ora è di nuovo qui, per fortuna, scatenato come sempre, malgrado i suoi 71 anni) ho lasciato la Maternità ai colleghi angolani, che se la sono cavata bene, ricorrendo anche loro ai trasferimenti verso l’Ospedale di Ondjiva, la capitale della nostra Regione, dei casi chirurgici e ostetrici che non si potevano trattare qui.

Quel mese in Maternità è stato molto bello: tanti parti, qualche bambino aiutato a nascere usando la ventosa, qualche altro rianimato dopo la nascita perchè non respirava (poi arrivavano le pediatre e portavano avanti la rianimazione, di solito con successo). Ho anche dovuto studiare molto perchè molte cose, imparate in Uganda oltre 30 anni fa, non le ricordavo più o sono cambiate.

Ma lo stress di quel periodo ha fatto precipitare una situazione già per me difficile perché comunque gli altri problemi dell’ospedale restano, in tutta la loro drammaticità: mancano molti farmaci e reagenti di laboratorio; l’apparecchio radiologico è rotto da oltre un anno e non si vede una soluzione per la sua sostituzione, l’unico generatore grande dell’ospedale ha frequenti guasti e bisogna chiamare un tecnico esterno per ripararlo e questo viene quando ha tempo (è molto richiesto in giro); le 5 elettropompe a immersione che pompavano l’acqua da pozzi superficiali, scavati nella sabbia del fiume Mucope, qui vicino, si sono rotte tutte insieme e nessuno capisce cosa gli sia successo, quindi ne abbiamo comprata una nuova che però non ha funzionato, poi una usata che funziona bene e ora ne cercheremo altre ma senza sapere la causa del guasto delle pompe precedenti è facile che anche alle nuove succeda lo stesso; varie infermiere se ne stanno andando e già prima erano insufficienti, per cui p. es. le essenziali vaccinazioni col team mobile sono state sospese da mesi e si stanno quindi preparando le condizioni per una epidemia di morbillo, che qui è spesso letale.

Bianca e io siamo quindi intervenuti e ora paghiamo lo stipendio a 4 infermiere disoccupate che hanno accettato di lavorare a Chiulo con una paga dimezzata (150 €/mese invece dei 300 della paga completa); con altri colleghi del Cuamm (grazie ai soldi propri e a quelli raccolti da parenti e amici) abbiamo più volte comprato farmaci, reagenti e pezzi di ricambio di macchinari vari ma quanto possiamo mettere a disposizione è sempre poco per i consumi di un grande ospedale, basta solo per qualche settimana e poi si ritorna alle condizioni precedenti.

Ultimamente è arrivata anche qualche buona notizia: il Fondo Sovrano dell’Angola ci finanzia nuovamente, ma in misura ridotta, un progetto sulla salute materno-infantile che per 3 anni permetterà al Cuamm di continuare a mantenere a Chiulo un pediatra, un chirurgo e un’amministratrice-contabile, di comprare un nuovo veicolo per la supervisione delle unità sanitarie periferiche, di pagare (20 €/mese!) una trentina di levatrici tradizionali di villaggio (delle 110 che erano state  addestrate e pagate col progetto precedente), di comprare 1-2 mesi di farmaci per Chiulo e le unità periferiche. Insomma copre solo una parte delle esigenze reali: è importante ma non sufficiente.
La formazione in periferia di Levatrici Tradizionali di Villaggio: ne sono state formate 110. 
ora bisogna continuare con corsi di"refrescamento"

Subito dopo è arrivata la notizia che il Fondo Globale, con sede a Ginevra, finanzierà un altro progetto, questo contro la tubercolosi; ma è un progetto nato nel 2014 e da allora le condizioni sono profondamente cambiate in Angola; in particolare da oltre un anno il Governo non manda più gli indispensabili farmaci per la tubercolosi semplice e questo progetto prevede invece di mandare farmaci e apparecchiature per la rara tubercolosi multi-farmaco-resistente (meno del 5% dei casi ma molto pericolosa). Quando da Padova è arrivata l’annuale visita di supervisione, abbiamo fatto presente questa insieme alle altre necessità, anzi io ho chiesto di insistere col Fondo Globale (col quale siamo in contatto) affinchè reindirizzi il progetto sulla tubercolosi semplice e, se non ci si riuscisse, di chiedere a Papa Francesco (si proprio Papa Francesco in persona: siamo disperati per i nostri pazienti!) di fare un appello pubblico in favore dei malati di tubercolosi in Angola (e magari in altri Paesi che fossero nelle stesse condizioni) in modo da costringere il Fondo e/o i Governi a prestare finalmente attenzione e a darsi da fare per non lasciar morire decine di migliaia di persone (che lasceranno centinaia di migliaia di orfani) per una malattia che sappiamo ben curabile.
Ora speriamo nella Conferenza Episcopale Italiana, alla quale il Cuamm ha presentato un progetto di tre anni, ancora per sostenere la salute materno-infantile e che quindi andrebbe a completare il progetto del Fondo Sovrano.  Sempre in campo materno-infantile possiamo inoltre contare su dei fondi messi a disposizione da alcune Fondazioni bancarie italiane e su quelli che il Cuamm raccoglie da privati, Parrocchie, gruppi di appoggio: ogni contributo è essenziale ma, da solo, insufficiente.
Il Dr. Benvindo, uno dei 3 nuovi medici angolani arrivati recentemente, 
aggiungendosi al Direttore Sanitario, Dr. Ivo, qui da 4 anni.

E ogni anno è così: il Cuamm deve continuamente darsi da fare raccogliendo fondi privati in Italia e presentare progetti a vari donatori istituzionali, in Italia e all’estero, sperando che qualcuno di essi venga approvato. A Padova, dove è la sede centrale del Cuamm, sono oberati di lavoro nella preparazione e presentazione dei progetti ma anche nella rendicontazione di quelli che, approvati negli anni precedenti, si stanno realizzando o concludendo.

Ma anche in periferia, come noi a Chiulo, siamo stressati, sempre coi nostri problemi di farmaci, acqua, elettricità, Personale sanitario, laboratorio, attrezzature varie ecc. E a me continuamente si rivolgono i medici del Cuamm e il Personale dell’Ospedale per lamentare problemi, mancanze, disfunzioni, ma senza proporre soluzioni praticabili e senza che ci siano i mezzi per affrontare tutto ciò da parte del Cuamm e della Direzione dell’Ospedale.

In particolare per me la situazione è diventata insostenibile: non riesco a mantenere un adeguato distacco dalla situazione, non riesco a dirmi “pazienza, si fa quel che si può con quel che si ha” e quindi non vedo l’ora di tornare in Italia e lasciare a qualcun altro il mio posto troppo scomodo, in aiuto alla Direzione dell’Ospedale di Chiulo (con la quale, peraltro, lavoro molto bene). Con Bianca manterremo gli stipendi delle 4 infermiere per qualche mese, sperando che intanto il Cuamm trovi i fondi per continuare a pagarle e anzi per assumerne altre 9, il numero minimo per assicurare che ci siano almeno 2 infermieri per ogni reparto per ogni turno e 3 in Maternitá, specie di giorno quando c’è più lavoro, cosa che oggi spesso non avviene.

Esami di ammissione alla nostra Scuola Infermiere: alcuni dei 400 aspiranti ma i posti sono solo 74.
C'é un grande interesse per la formazione "tecnica", vista come unica possibilitá di uscire dalla povertá. E per l'Ospedale di Chiulo saranno un aiuto pratico nei periodi di tirocinio nei Reparti.

Il 20 dicembre partiremo per le ferie, che trascorreremo a casa in Italia, coi nostri figli ormai sparsi per il Mondo. Dovremo anche fare degli accertamenti sanitari: Bianca ha avuto un infortunio al ginocchio e forse avrà bisogno di un piccolo intervento e della successiva fisioterapia; io controllerò alcuni dei miei problemi vecchi e nuovi.

Quindi poi vedremo se potremo tornare a Chiulo fino a tutto marzo, per tornare definitivamente in Italia da aprile, come previsto.

Peccato, saremmo potuti restare di più e portare avanti le tante, troppe attività che hanno bisogno di sostegno, ma lo stress dovuto ai troppi problemi irrisolvibili presenti è stato troppo forte, è la stessa situazione che avevo giá vissuto nel 2012-13. E gli aiuti promessi, se arriveranno davvero, saranno troppo pochi e arriveranno troppo tardi: qualcun altro li userá e porterà avanti l’appoggio a Chiulo.

Cari saluti a tutti.
Marco


PS per chi aveva letto il blog precedente: l’HIV ha vinto e Conceição non ce l’ha fatta, morendo 5 giorni dopo il parto e lasciando un bambino troppo piccolo (1,9 Kg alla nascita); abbiamo anche finito lo sciroppo contro l’HIV da dare ai neonati da madre siero-positiva. Bernarda invece sta bene e ha ripreso in pieno le faticose attività di ogni brava madre e moglie africana.

lunedì 23 ottobre 2017

Ore da dimenticare (ma che non dimenticherò)

Sabato sera, tutti noi del Cuamm come al solito siamo a cena insieme: pizza in tante varietà, acqua fresca ma anche qualche birra piccola. Infine un dolce fatto in casa e qualche quadretto di cioccolata portata dall'Italia: essì, è una vita di privazioni!
Ma mi chiamano dalla sala parto e lí trovo tutti e 3 i letti da parto pieni, una donna seduta in sala parto su una sedia e un’altra seduta fuori, nella veranda, sulla panca dove di giorno aspettano le donne per il consultorio ostetrico. 
Entrando nella sala dalla veranda, la donna nel primo lettino, Veronica, al primo parto, smaniava ed era agitatissima, tenuta ferma con difficoltà da ben 3 sue familiari. Teresa, una delle 2  ostetriche di turno, mi chiede di usare la ventosa per aiutarla a partorire perché il parto stava durando troppo dato che, essendo così agitata, la giovane non coordinava le spinte con le contrazioni dell’utero. 
Intanto però le altre due partorienti stavano partorendo e le ostetriche hanno dovuto dedicarsi a loro e ai loro figli, lasciando Veronica ad agitarsi.
Ma dal reparto arriva, piegata in due per i dolori, anche Conceição, una 35enne con vari figli e l’AIDS molto avanzato, ormai magrissima, da settimane ricoverata in Maternità per polmonite e pleurite, con frequenza cardiaca e respiratoria molto alte e che non pensavo riuscisse a sopportare gli sforzi del parto. Invece approfitta del letto di mezzo, lasciato libero dalla più rapida delle 2 partorienti, ci sale da sola, si spoglia, fa il figlio, le esce pure la placenta, raccoglie il neonato, lascia la placenta, si riveste e, aiutata da una parente, se ne torna in reparto i 7 minuti e senza un lamento. Anzi respira pure meglio. Aveva giá ricevuto due dosi extra di anti-retrovirale e presto il neonato riceverà un apposito sciroppo per prevenire la trasmissione del virus anche a lui.
L’ostetrica pulisce il meglio possibile il lettino e il pavimento sottostante (c'era un AIDS!), svuota il grosso vassoio che scorre sotto il lettino e il tutto è pronto per un’altro parto. Intanto io ho cambiato i guanti non sterili, da esplorazione, una decina di volte, per passare a valutare piú volte le varie donne in travaglio.
Bernarda, la donna dell’ultimo lettino, quello in fondo, verso la finestra, partorisce a sua volta; era alla 42ª settimana e le avevamo indotto il parto per timore che il feto soffrisse a causa dell’invecchiamento della placenta.  Ma dopo il parto e il secondamento della placenta, l’emorragia sembra più intensa del solito e, su richiesta dell’ostetrica, metto i guanti sterili e valuto le condizioni del collo uterino: è molle e ha il margine molto irregolare, slabbrato, a causa del parto appena avvenuto ma non mi sembra di sentire lacerazioni.


L'ostetrica Teresa in un'altra occasione in cui c'erano 3 parti in contemporanea. Il lettino in primo piano è quello più vicino alla finestra, quello occupato da Bernarda; il 2ª lettino, con la donna col vestito multicolore, è quello usato da Conceição; il 3º, oltre il telo celeste, è quello più vicino all'ingresso dalla veranda (che non si vede) ed era occupato da Veronica; si vede bene l'ingresso dal reparto Maternità, dal quale entra Conceição quando sente imminente il parto.



Quindi finalmente possiamo dedicarci alla giovane agitata; chiedo di tagliarle il perineo per poter applicare la ventosa senza poi lacerarla. L’ostetrica prima fa un’anestesia locale,  lascia passare  qualche minuto perché l'anestetico faccia effetto e poi taglia con le apposite forbici. Applico la ventosa, l’ostetrica aspira l’aria con la pompa in modo che la ventosa si fissi al capo del bebè, tiro e in pochi minuti tutto è finito con sollievo della mamma, che smette di agitarsi, ma anche delle sue parenti e di tutti noi della Maternità. Teresa ricuce il taglio.


La ventosa ostetrica è formata da una pompa tipo bicicletta (a sinistra) ma con la valvola interna invertita per cui aspira l'aria. Una bottiglia per il vuoto con sopra una manometro (al centro) per verificare che la depressione sia dell'entità giusta. Una coppetta di metallo o silicone (a destra) da applicare alla testa del feto; tra la coppetta e la bottiglia c'è la maniglia da afferrare per tirare la coppetta (e la testa); tra maniglia e coppetta c'è una catenella o nel tubo o all'esterno del tubo(nel riquadro).




Torna quindi la calma e le due ostetriche si dedicano ad una pulizia più accurata della sala parto e degli strumenti usati (di notte non ci sono gli addetti alle pulizie). Manca l’acqua (da settimane) e Pedro, il marito di Bernarda ma anche capo-guardiano dell’Ospedale, viene mandato nelle case Cuamm a prenderne un secchio.
Presto toccherà alle due donne finora sedute.
Torno a casa e finalmente mi metto a letto. Ma poco dopo le 23, quando ormai il generatore è stato spento, gracchia di nuovo la radio: si capisce solo “dr. Marco” e “emorragia”. Ho capito, mi vesto, mi studio rapidamente le istruzioni su cosa fare in caso di emorragia post-partum (mica sono un ginecologo, io!) e corro in Sala Parto, dove trovo il disastro: Bernarda è in un lago di sangue! La normale emorragia del parto non si è fermata, anzi: c’è sangue su tutto il lettino e per terra; l’ostetrica Cristina sta facendo una compressione bi-manuale dell’utero, cioè con la destra a pugno, nella vagina, comprime il collo dell’utero contro la sinistra che invece spinge su fondo dell’utero dall'esterno, sulla parete addominale, poco sotto l’ombelico. Dopo essermi letto le preziose “istruzioni”, mentre prendevo lampade, radio, cellulare ecc., Bianca aveva prelevato dal nostro deposito sia dei farmaci per far contrarre l’utero sia dei farmaci coagulanti e cosi in Sala Parto li usiamo tutti ... di più non abbiamo. Poi di corsa in Sala Operatoria dove intanto si era materializzata l’anziana ma inossidabile infermiera Felismina al posto dell’infermiera Ilda, che doveva essere di turno ma non si era presentata.
Decidiamo di non trasferire Bernarda all'Ospedale Centrale di Ondjiva (ci vuole 1 ora e mezza ... non ci arriverebbe viva), attiviamo la laboratorista Josefa, che subito fa il gruppo sanguigno e rimedia due sacche di sangue compatibili, Felismina induce l’anestesia generale e con l’aiuto della solita Cristina iniziamo a cercare la lacerazione.
A dire il vero la lacerazione la individuano loro che hanno l’occhio allenato: Felismina é l'infermiera che sutura tutte le ferite degli incidenti più vari, Cristina sutura i tagli che fa con le forbici e le lacerazioni spontanee dei perinei delle partorienti. Grazie alle loro indicazioni, grazie a Cristina che tiene i divaricatori e a Felismina che continua l’anestesia generale iniettando anestetico ogni pochi minuti ma che anche mi passa gli strumenti e i fili di sutura man mano che servono; grazie alla lampada scialitica della sala operatoria ma anche alla lampada frontale da ciclista che avevo io e non si è esaurita per tutto il tempo; in oltre un’ora di lavoro, con Cristina in ginocchio alla mia sinistra che si appoggiava alla mia coscia, con la mia mano sinistra che tremava incontrollabile e dovevo appoggiarla alla coscia di Bernarda per poter reggere la pinza mentre con la destra mettevo alla bell'e meglio i punti, alla fine abbiamo quasi fermato l’emorragia, nel senso che usciva ancora un minimo rivolo di sangue. Felismina ha poi introdotto a forza nel canale del collo dell’utero una garza sterile che facesse da tampone contro l’area dell’emorragia e poi abbiamo aspettato ... ore, continuando a controllare il sanguinamento sempre più esiguo, la frequenza cardiaca che tendeva a normalizzarsi, le trasfusioni di sangue e le flebo per sostituire il sangue perso, sempre col timore che l’emorragia riprendesse vigore.
Per non perdere tempo e restare sveglia, l’ottima Felismina si è messa a pulire la Sala Operatoria, sempre col problema che l’acqua arriva con i secchi, usando a mano stracci davvero ridotti a stracci e delle bacinelle ormai crepate in più punti, per cui devono essere tenute inclinate sennò si spargono i luridi liquami che contengono (nei prossimi giorni gliene compreremo di nuove: quelli della Chirurgia se lo meritano).


L'angolo lavabi della Sala Operatoria: i 2 lavandini non hanno piú acqua dai rubinetti e quando ci si lava prima di un'operazione, un infermiere attinge dell'acqua non potabile dal bidone bianco con una mezza bottiglia di plastica (che diventa così una specie di caraffa) e la versa poi sulle mani del chirurgo per sciacquarle.
A sinistra si intravvede Bernarda distesa sul lettino dopo l'operazione e, accucciata accanto a lei, Felismina, che inganna il tempo facendo le pulizie.



Finalmente alle 5,30, mentre il cielo fuori cominciava prima a schiarirsi e poi rapidamente tornava la consueta giornata abbagliante, abbiamo deciso che poteva andare bene così e abbiamo rimandato Bernarda in Maternità, con Pedro che ringraziava in modo commovente perché tutti avevano capito la gravità della situazione e gli sforzi fatti per salvare Bernarda. 






Durante la notte Cristina ha ceduto alla stanchezza. A sinistra la bacinella crepata (si intravedono alcune crepe, nere, vicino al bordo, in alto a destra) che deve essere usata inclinata per non spargere nuovamente i liquami raccolti.






Bernarda ce l’ha fatta e si è portata a casa questo 5º figlio. Mi sono raccomandato con Pedro che la facciano stare a riposo in modo che per un mese non si sottometta a tutte le pesanti incombenze quotidiane delle donne di qui.
Alcuni giorni fa, dopo aver avvisato della mia intenzione, ho lasciato la Maternità ai colleghi angolani, che pare se le stiano cavando bene, anche loro con l’aiuto delle nostre esperte ostetriche. Io così posso tornare a fare il consulente della Direzione dell’Ospedale. Il 2 novembre dovrebbe tornare il chirurgo Giorgio e tutto dovrebbe tornare alla normalità, senza i tanti trasferimenti a Ondjiva che abbiamo dovuto richiedere in queste settimane e i rischi che le inconsapevoli donne hanno corso quando ero io a occuparmi di loro.
Quindi i miei prossimi racconti non dovrebbero più essere così drammatici.
Un caro saluto a tutti.

Marco

sabato 7 ottobre 2017

Gli imprevisti dei parti

Per ora ancora non si sa esattamente se e quando Giorgio (o un qualche altro chirurgo o ginecologo) tornerá a Chiulo. Per fortuna ancora non ci sono state chiamate per cesarei o gravidanze ectopiche d’urgenza. Ho trasferito molte donne a rischio di cesareo, soprattutto perché avevano giá avuto in passato uno o piú cesarei e quindi erano a rischio di rottura d’utero quando poi si prova a farle partorire per via naturale. Le mandiamo all'Ospedale centrale della nostra Regione, a Ondjiva: lí hanno chirurghi e ginecologi ma non hanno il resto per cui quando trasferiamo qualcuno dobbiamo mandargli 5 paia di guanti chirurgici sterili, mettere al paziente una flebo endovena, fargli l'esame del sangue e il gruppo sanguigno!
Ma c’é stato bisogno di varie applicazioni di ventosa, perché il parto si prolungava in modo pericoloso, e di qualche raschiamento uterino per aborto incompleto. Ormai con la ventosa mi giostro abbastanza bene ma una delle volte si é conclusa davvero male: il neonato é nato morto e non siamo riusciti a rianimarlo; in un altro il cuore batteva ma non respirava e anche lui l’abbiamo rianimato a lungo: alla fine ha cominciato a respirare autonomamente ma sembra che abbia anche lui avuto dei  danni cerebrali a causa del parto troppo prolungato ed é morto dopo 5 giorni ... insomma davvero difficile.
C’é anche stato un avvenimento tragico e invito chi non sopporta cose troppo truculente a saltare la parte in corsivo di questo paragrafo. E´successo questo. Una donna a termine dell’11ª gravidanza, quindi con un utero stanco, sfibrato, dopo aver tranquillamente passato la giornata chiacchierando e passeggiando intorno alla sua casa, qui vicino, la sera si é messa a letto (= una coperta per terra nella sua capanna) e improvvisamente ha cacciato un urlo. I familiari, immediatamente accorsi, l’hanno trovata esanime, apparentemente morta; quindi in 4 l’hanno afferrata e l’hanno portata di corsa in Ospedale, distante poche centinaia di metri.
Arrivata in Sala Parto le 2 ostetriche di turno mi hanno immediatamente chiamato via radio perché anche loro convinte che la donna fosse morta; erano le 19.30. Arrivato dopo 10 minuti, anche io e le 2 allieve ostetriche (1 di Roma e 1 del Napoletano) abbiamo confermato: niente battito cardiaco, pupille dilatate e fisse. Per scrupolo ho chiesto all’ostetrica di controllare se ci fosse battito cardiaco fetale e quella, con un apparecchietto digitale, con sorpresa mi ha mostrato che il battito c’era, lento (72/minuto) ma c’era!
Allora siamo corsi con la barella a rotelle fino alla Sala Operatoria. Lí l’infermiera anestesista Felismina e la ferrista Ilda hanno aperto un pacco di ferri sterili per i cesarei, io ho indossato solo guanti e grembiule di plastica, senza lavarmi (tanto era morta) né mettermi camice-mascherina-cuffia, lasciando la donna sulla barella; Ilda mi ha dato una lama di bisturi che ho cercato inutilmente di fissare al manico, la lama é caduta per terra, l'ho raccolta (tanto era morta) ma continuava a non fissarsi; allora Felismina ha fatto apparire un raro bisturi monouso e subito incido la pelle dall’ombelico al pube. Arrivato alla cavitá addominale ne é escita una grande quantitá di sangue e coaguli; per vedere l’utero, io e Ilda abbiamo cominciato a portar via manciate di sangue e coaguli gettandoli in una bacinella tra le gambe della donna perché l’aspiratore non l’avevamo attivato per guadagnare tempo. Finalmente emerso l’utero l'ho inciso come in un normale cesareo, arrivato al feto, l´ho tirato fuori e l´ho passato alle allieve ostetriche e alle specializzande in pediatria, che intanto erano arrivate: forse il cesareo piú rapido della storia! Con piú calma, sempre assistito da Ilda, ho richiuso la parete addominale per restituire al meglio la donna alla famiglia.
Intanto specializzande e allieve cercavano di rianimare il neonato: il cuore batteva ancora e pian piano é tornato ad avere una frequenza alta, normale nei neonati. Ma non respirava, non ha mai respirato. Ogni tanto un breve, rapido e superficiale respiro (il c.d. gasping) ma niente di piú. Dopo 45 minuti di rianimazione abbiamo lasciato perdere: abbiamo avvolto il bimbo in una coperta che i parenti avevano portato e lo abbiamo trasferito in Pediatria, dove c’é una culla riscaldata, spiegando peró alla famiglia che non solo la donna era morta, probabilmente per una improvvisa rottura dell’utero, indebolito dalle troppe gravidanze, ma che anche per il figlio non c’era niente da fare: il cuore batteva, ogni tanto faceva un respiro, ma dovevano giá considerarlo morto anche lui; uno dei parenti gli doveva restare accanto fino alla fine per poi prenderselo e fargli il funerale con la madre.
Quindi tutti insieme, espatriati, infermiere, ostetriche e la trentina di familiari che intanto si erano raccolti nei corridoi aperti intorno alla sala operatoria, abbiamo portato il corpo della madre nella Camera Mortuaria, attraversando nella notte i prati che la separano dall’Ospedale, illuminando con le torce elettriche il sentiero a scanso di incontri con le vipere, attualmente piuttosto numerose.
I familiari si sono comportati con grande dignitá: Felismina, la piú anziana delle infermiere, ha spiegato a tutti quel che era successo e la famiglia lo ha accettato senza recriminazioni, manifestando riconoscenza per il tentativo fatto in favore del bambino. Ben diverso avviene in Italia per molto meno. Comunque tutti noi dell’Ospedale eravamo sí molto tristi ma anche soddisfatti per lo spirito di squadra, la rapiditá e l’impegno da tutti dimostrati: abbiamo fatto del nostro meglio in tutte le fasi e abbiamo cercato di dare una possibilitá al bambino (i feti e i neonati a volte sorprendono per la loro vitalitá), purtroppo inutilmente. Resta il dubbio che forse avremmo fatto meglio a lasciarlo morire in pochi minuti nella madre e non dopo 5 ore in Pediatria.
Altri imprevisti minori: mai mettersi davanti ad una donna che, dopo aver partorito il figlio, deve ancora espellere la placenta: a volte viene fuori il tutto a tappo di spumante, imbrattando di sangue chi c’é davanti, tanto da farlo sembrare uno di quegli assassini che poi depezzano la vittima con la sega elettrica ... e poi é pure difficile lavar via il sangue senza lasciare macchie!
Stavolta aggiungo una foto notturna di Teresa, l’ostetrica che porta sempre con sé il figlioletto, o in braccio, magari per allattarlo, o sulla schiena, quando ha le mani impegnate p.es.durante l’assistenza ad un parto, come si vede nella foto.

  L'ostetrica Teresa segue un parto notturno, 
col figlio sulla schiena a cui non fa mai toccare terra.



Con una media di 6 parti al giorno, non é raro avere tutt'e tre i letti da parto occupati. 
Ma Fernanda, come le altre 7 ostetriche di Chiulo, non perde mai la testa.



Aggiungo che da mesi, per continui guasti alle pompe dei pozzi, non abbiamo l’acqua in ospedale, neanche nei pochi lavandini dove riusciva ad arrivare: l’acqua viene portata con i secchi nei reparti e anche in sala operatoria, prima delle operazioni, ci si deve “lavare” mani e avambracci con acqua che un ausiliare prende da un bidone con una mezza bottiglia di plastica e che poi lascia gocciolare sulle mani da lavare, per poi farla finire in una bacinella ... forse in tempo di guerra una situazione del genere si puó accettare, ma dopo 17 anni di pace é davvero incredibile essere ancora in queste condizioni. Forse fa bene Teresa a tenersi il figlio sempre addosso e mai lasciarlo gattonare sul pavimento della Maternitá!
Un caro saluto a tutti.

Marco

domenica 17 settembre 2017

Di nuovo nella trincea del Reparto Maternitá

Oltre a tutti i guai che abbiamo avuto finora ci si doveva anche aggiungere l’improvvisa partenza di Giorgio, l’anziano ed espertissimo chirurgo-ginecologo, richiamato in Italia per gravi motivi di famiglia!
E cosí, visto che i medici italiani sono tutti specialisti e non sanno seguire casi di specialitá diverse dalla loro, mi sono rimesso al lavoro in ostetricia, dove pare che io sia l’unico con qualche conoscenza, peraltro maturata oltre 30 anni fa in Uganda.
E cosí di nuovo in sala parto: una applicazione di ventosa per un feto che tardava troppo a nascere perché la madre aveva esaurito le forze. E poi parti podalici e gemellari, che in Italia verrebbero fatti nascere con un parto cesareo.
E poi, oltre ai tanti parti normali (dei quali in realtá si occupano le sole ostetriche locali) e ai parti complicati (come quelli podalici e gemellari), ci sono le donne gravide che si ammalano di altro: malaria, infezioni varie in tutti i possibili organi, minacce di parto prematuro. Per fortuna per ora non si sono visti casi di grave ipertensione né nessuna ha avuto bisogno del parto cesareo.
E proprio eventuali parti cesarei e gravidanze ectopiche mi preoccupano tantissimo. Ne ho fatti vari ma oltre 30 anni fa; sono operazioni “facili” ma diventano molto difficili se la donna, per infezioni o precedenti cesarei, ha aderenze nell’addome che distorcono l’anatomia normale e incollano le anse intestinali all’utero, in un caos difficile da districare. Nelle 3 settimane almeno di assenza di Giorgio, é sicuro che qualche caso del genere si presenterá, prima o poi; se possibile li manderemo in ambulanza all’Ospedale di Ondjiva, a 90 minuti a sud-est, l’unico altro ospedale della Regione che abbia una sala operatoria, ma se la malcapitata fosse in pericolo immediato di vita dovró decidere se me la sento di provare a operarla.
Per fortuna sia in sala parto, finora, che in sala operatoria, in futuro, posso contare su ostetriche e infermiere con grande esperienza, che finora mi hanno aiutato molto, anche nella scelta delle medicine da prescrivere e dei relativi dosaggi e, in futuro, p. es. su quali fili di sutura usare per i vari strati da ricostruire nel richiudere l’addome di un cesareo o di una gravidanza ectopica.
In questi giorni sono inoltre presenti anche due allieve ostetriche, rispettivamente di Roma e del Napoletano, e anche loro mi aiuteranno, leggendomi in diretta i passi descritti nei libri di chiurgia per quelle operazioni.
Il pericolo, per le donne, sta soprattutto nel fatto che possono esserci complicazioni impreviste durante l’intervento, spesso a causa di quelle maledette aderenze: un vaso importante tagliato inavvertitamente o un’ansa intestinale forata ; é allora che si vede la differenza con un vero chirurgo: lui/lei sa cosa fare per riparare la complicazione, io no. Speriamo che la Provvidenza ci aiuti, le donne e me!
Intanto ho saputo che nell’Ospedale Protestante di Lubango , a 3 ore a nord-ovest da Chiulo, ci sono ben 3 ginecologi: troppi, si annoieranno! Quindi scriveró a quell’Ospedale chiedendo che 1 di loro, o a turno, vengano a darci una mano qui, come giá fecero nel 2012, quando a Chiulo ci fu un’altra crisi simile.
Intanto sono sempre in ansia e la notte non riesco piú a dormire in modo continuativo: ostetriche e infermiere possono chiamarmi col walkie-talkie in qualsiasi momento del giorno e della notte e, con il loro aiuto, dobbiamo inventarci qualcosa per salvare possibilmente tutt’e due, mamma e figlio. Speriamo che arrivino i rinforzi dei Protestanti, un po’ il nostro 7º Cavalleggeri. Sempre sperando che torni Giorgio, il nostro inossidabile 70enne, esperto in tutte le branche della chirurgia, incluse ortopedia e ostetricia-ginecologia.

Il consueto affollamento del Reparto Maternitá


Il momento piú difficile di un parto podalico: la testa tende a restare incastrata! 
E allora la grande esperienza (del dr. Giorgio) aiuta davvero.


Devo aggiungere che le due allieve ostetriche sono molto contente dell’esperienza di 3 settimane che stanno facendo qui: il Personale locale é gentile e accogliente con loro, stanno vedendo casi anche sconvolgenti che in Italia non esistono perché si risolve tutto con un parto cesareo e stanno vedendo anche dei piccoli errori qua e la; per fortuna non intervengono a correggere le nostre esperte ostetriche ma ci segnalano le cose che non sembrano ben fatte, ne discutiamo insieme e poi noi medici “stanziali” cercheremo di apportare le correzioni opportune: quando si entra in un contesto come il nostro bisogna farlo “in punta di piedi”, con delicatezza e rispetto, non irrompendo come un elefante in un negozio di vetri di Murano! E queste due giovani si stanno comportando proprio bene, peccato che vadano via cosí presto.
Un caro saluto a tutti.

Marco

venerdì 8 settembre 2017

Un periodo difficile (piú del solito)

Carissimi,
é da un po’ che non scrivo niente di nuovo e invece ce ne sarebbero di cose da raccontare! Niente di avventuroso, naturalmente, ma comunque interessante.
Da mesi il Governo, pur pagando regolarmente il personale qualificato dell’Ospedale (direttori, medici e infermieri, alcuni operai e autisti) non invia piú il suo contributo mensile né farmaci e altri prodotti sanitari monouso (siringhe, guanti ecc.).
Ma ora anche il contributo del Cuamm si é molto ridotto: il progetto sull’intera Provincia finanziato dall’UE (contro la denutrizione infantile) e quello sostenuto dal Fondo Sovrano dell’Angola (per la salute materna e infantile) si sono conclusi. Le due cooperanti che li seguivano sono giá tornate a casa. Il pediatra e la ginecologa, il cui costo veniva pagato dai due programmi, restano ma a carico dell’unico progetto rimasto (“Prima le Mamme e i Bambini: nutriamoli”, finanziato da un gruppo di Fondazioni Bancarie italiane; anche la mia presenza qui era e resta a carico di questo “progetto Fondazioni”) e delle donazioni di gruppi d’appoggio e privati al Cuamm. Quindi niente piú farmaci in quantitá adeguate né attrezzature in sostituzione di quelle che si rompono né aiuto all’Ospedale per comprare il combustibile per generatori elettrici e ambulanza ecc. ecc. Vengono sospesi anche i “mama kit” (un bacile, una barra di sapone, un asciugamano e delle mutandine porta-assorbente per il neonato, una pezza di tessuto per legarsi il piccolo sulla schiena) che finora venivano dati ad ogni neonato per incoraggiare i parti in Ospedale (e avevano funzionato, con i parti raddoppiati in 2 anni!) e le visite di supervisione alle 31 unitá periferiche governative e al Centro di Salute della Chiesa Luterana. Molto ridotti i contributi per dar da mangiare ai ricoverati in Pediatria e Tisiologia: la maggior parte dei ricoverati anche di questi due reparti gli alimenti dovranno portarseli da casa, come é da sempre per gli altri reparti.
Piccoli fondi della Conferenza Episcopale Italiana e della Cassa di Risparmio di Biella e Vercelli sono stati preziosi per mantenere l’attivitá della Casa de Espera (Casa di Attesa, dove le donne gravide che abitano a decine di Km dall’Ospedale vengono a vivere nelle ultime settimane prima del parto, senza intasare il Reparto Maternitá) con le sue due coordinatrici (una levatrice tradizionale e un’unfermiera disoccupata) e i costosi “kit alimentari” (un sacchetto con riso, farina di mais, fagioli, olio di semi ecc.) che vengono dati a ogni gravida all’ingresso nella Casa.
I due progetti conclusi erano molto importanti perché, oltre ad assicurare due medici all’ospedale (e due cooperanti al territorio), assicuravano l’arrivo di farmaci, reagenti di laboratorio, altri dispositivi sanitari di consumo, combustibile, nuovo equipaggiamento sanitario per pediatria, maternitá e sale operatorie.
E cosí per alcune settimane gli infermieri sono stati costretti a lavare e riusare i guanti non sterili di lattice, necessari per proteggersi dalle infezioni qunado si medicano o visitano i pazienti; i pazienti che devono fare iniezioni ricevevano in dotazione una singola siringa monouso, di plastica, che doveva poi essere usata nei giorni successivi, senza risterilizzarla né disinfettarla (tanto il paziente era sempre lo stesso, no?). Poi finalmente sono arrivati un po’ di farmaci e altri prodotti di consumo ordinati dal Cuamm in Olanda all’inizio di Apile e (ancor meno) inviati dal Governo, e questo ha alleviato le nostre difficoltá; ora con i soldi donatici da amici e parenti compreremo quel che ancora manca e per un paio di mesi dovremmo essere piú tranquilli, poi speriamo nella Provvidenza e nel fatto che il Cuamm ha presentato varie proposte di progetti a varie istituzioni e speriamo che almeno per alcuni di loro ci sia una risposta favorevole.
Finché da Governo e progetti Cuamm sono arrivati farmaci in quantitá adeguate, i farmaci venivano prescritti da infermieri o medici e poi i pazienti li andavano a ritirare nella Farmacia per Esterni dell’Ospedale senza aggravio del ticket pagato. Ora che i farmaci sono cosí pochi ovviamente non possono piú essere ritirati qui ma i pazienti devono andarseli a cercare nelle farmacie private che prosperano nei centri piccoli e grandi, pagandoli profumatamente. Questo succede da molto negli Ospedali Governativi “puri” ma qui a Chiulo finora eravamo riusciti ad evitarlo sia per i pazienti ambulatoriali che per quelli ricoverati. Nei centri governativi da anni il paziente viene visitato ma, prima di essere ricoverato, deve procurarsi tutto il necessario per le sue cure: cerotti, garze, siringhe e aghi, guanti sterili e non sterili, fili da sutura, catetere, medicinali vari, a seconda della propria malattia. Qui a Chiulo finora non si é arrivati cosí in basso ma é una lotta quotidiana e medici e infermieri segnalano continuamente le carenze man mano che si manifestano e si lamentano ma inutilmente: senza soldi che arrivino dal Governo o altra fonte non si puó procedere a nessun acquisto in quantitá adeguate, “ospedaliere”.
L’Ospedale ha un suo Consiglio di Amministrazione, presieduto dal Vescovo e di cui fa parte anche il Cuamm, che dovrebbe decidere quali sviluppi deve avere nei prossimi anni l’Ospedale e trovare le risorse necessarie per conseguire gli obiettivi decisi, e un Comitato di Gestione, formato dai Direttori dell’Ospedale (D. Generale, Amministrativo, del Personale e alcuni consulenti interni tra i quali sono anche io come rappresentante del Cuamm) che dovrebbe mettere in atto le attivitá necessarie per raggiungere quegli obiettivi usando risorse messe a disposizione dal CdA. Ma il Vescovo ha altre prioritá, avendo una Diocesi povera e dovendo aiutare i preti e le suore a sopravvivere, contemporaneamente riparando per quanto possibile Chiese, case parrocchiali,  conventi e scuole. Il Governo resta il partner piú importante dell’Ospedale, fornendo i salari al personale qualificato, ma a causa della crisi del prezzo del petrolio non riesce a fare di piú. Il Cuamm cerca piccoli fondi e presenta grossi progetti a Enti italiani e internazionali e deve attenderne le decisioni.
E cosí anche noi del Comitato di Gestione abbiamo cominciato a cercare risorse: la Direttora Generale ha telefonato al Vice-Ministro della Salute, che lavorava nella nostra Regione e col quale ci conoscevamo bene (proprio una brava persona, oltre che un bravo medico) per chiedergli di farci in qualche modo avere un chirurgo o un ginecologo, da affiancare a quello che il Cuamm continuerá a garantire. Sempre la Direttora ha chiesto al Vescovo si fare pressione sul Governatore regionale perché ci regali un nuovo grande generatore e/o un veicolo, per sostituire quelli attuali, vecchi e con frequenti avaríe che necessitano di lunghe e costose riparazioni.
Io ho chiesto un chirurgo o un ginecologo sia a una ONG olandese che negli anni ’90 aveva mandato qui 2 medici, sia a una ONG protestante americana che invia medici e chirurghi in vari sopedali protestanti nel Mondo (ma qui siamo cattolici! Mbé ma sempre “uomini di Buona Volontá”, no?). Ho anche scritto ai Pratesi della Florida per vedere se riescono a fare raccolte fondi a nostro favore.
Per ora tutte queste richieste, mie e della Direttora, sono rimaste senza risposta.
Infine 2 altri membri del Comitato di Gestione, i signori Gildo e Jorge, hanno presentato un progetto all’Ambasciata del Giappone per riaprire la nostra storica Scuola Infermiere. Questo aiuterebbe l’Ospedale perché le allieve, frequentando i reparti, darebbero un importante aiuto concreto allo scarso personale dell’Ospedale. Nei giorni scorsi un funzionario dell’Ambasciata é venuto a verificare che fine avessero fatto i fondi che ci avevano donato nel 2014 per costruire il Pronto Soccorso; é rimasto molto soddisfatto di vedere che il PS c’é, rispetta  il progetto concordato e funziona perfettamente; lui sta facendo il giro dei progetti finanziati dal Giappone e finora ha trovato realizzazioni che non funzionano o uso dei loro finanziamenti per cotruire tutt’altro rispetto al progetto concordato ... insomma era molto soddisfatto di Chiulo: “pacta sunt servanda”!  Gli abbiamo ricordato la proposta di riapertura della Scuola Infermiere ma in alternativa, se all’Ambasciata non piacesse una cosa del genere, gli abbiamo proposto di comprarci un nuovo generatore grande o un parco fotovoltaico, che darebbe energia all’Ospedale senza dover pagare il combustibile per il generatore.
Vedremo se qualcuno di questi tentativi avrá successo ma il nostro problema principale é la mancanza di farmaci e altri consumabili: la nostra Medicina, quella “occidentale”, che si studia nelle Universitá, si puó fare sotto un albero, possono pensarci gli infermieri con pochi medici a supporto, di notte si possono usare torce elettriche e lampade a petrolio ma senza farmaci e gli altri consumabili siamo paralizzati.
L’unico farmaco che puó essere prodotto qui é il sangue per le trasfusioni ma anche per quello ci sono rimaste solo poche sacche dove metterlo ... anche le sacche, che dovrebbero essere fornite dall’apposito programma ministeriale, non arrivano da mesi. E allora noi del Cuamm ci stiamo dando da fare per farcene regalare in Italia e farcene portare 10-20-50 alla volta dai vari medici, parenti e amici che vengono a trovarci. Contemporaneamente ne stiamo cercando a Luanda, la capitale dell’Angola, per evitare questa importazione informale, che sa un po’ di contrabbando, anche se a fin di bene.
Insomma, malgrado tutti i trucchi e gli escamotage che riusciamo a inventarci, qui, se non cambia sul serio qualcosa, siamo messi proprio male.
Ieri ho dovuto fare una visita di supervisione ad alcuni centri periferici dove abbiamo potuto costruire delle Case de Espera (case di attesa) per le donne gravide, iniziativa che ha avuto molto successo come ho avuto giá modo di scrivere: aggiungo qui sotto alcune foto della foratura di una gomma, imprevisto frequente e per fortuna che abbiamo un autista che pensa a tirarci fuori dai guai (con l’aiuto degli altri).
Cari saluti a tutti.

Marco

Fermi lungo la pista per una foratura con l'équipe della supervisione 


Le due ruote di scorta sono sul portabagagli del tetto. Oggi ne é servita una sola.


L'autista al lavoro, sotto lo sguardo interessato della Diretora Municipal della Formazione Continua