domenica 10 dicembre 2017

Sono agli sgoccioli!

E’ sabato 2 dicembre e finalmente ho un’intera giornata di riposo: con Bianca e la dott.ssa Laura siamo a Lubango, una grossa città 250 Km a nord-ovest di Chiulo e 1.700 m s.l.m., raggiungibile in 3 ore di strada asfaltata in buono stato. Il viaggio è faticoso perché la Toyota Land Cruiser che dobbiamo usare ha i sedili posteriori messi lungo le pareti laterali e chi vi si siede deve viaggiare sempre seduto storto, su sedili duri e scomodi … alla fine si è tutti doloranti, dal collo in giù … un Calvario, non certo una gita riposante.

Praticamente, da quando sono arrivato ad aprile, è la 1° o 2° volta al massimo che ho un’intera giornata di tranquillità: anche nei week end si viene di solito chiamati per qualche problema grande o piccolo:  il generatore grande ha un guasto, le elettropompe nel fiume Mucope non pompano più l’acqua, l’ospedale ha tutti i veicoli guasti e chiede un’auto in prestito per trasferire un malato grave o anche solo c’è bisogno di una tanica di benzina per i generatori piccoli, quelli che vengono accesi quando il generatore grande, a gasolio, è spento per un motivo o per l’altro.

Il letto asciutto del Rio Mucope con i pozzi scavati nelle sue sabbie ricche di acqua, con le tante donne che vanno a prendere l'acqua per casa, lavano sé stesse, i figli piú piccoli e i panni.

 Uno dei pozzi nel Rio Mucope: erano sigillati ma poi la popolazione li ha forati per poter prendere l'acqua usando i secchi pur essendo una pratica sbagliata perché le mani sporche contaminano i secchi che poi contaminano l'acqua del pozzo e cosí si trasmettono tante malattie (diarree varie, tifo, colera, epatite A, vermi intestinali ecc.)

E’ da un po’ che non aggiorno il blog ma il mese che ho dovuto passare in Maternità mi ha stremato: alla fine, visto che il chirurgo dr. Giorgio non riusciva ancora a tornare (ora è di nuovo qui, per fortuna, scatenato come sempre, malgrado i suoi 71 anni) ho lasciato la Maternità ai colleghi angolani, che se la sono cavata bene, ricorrendo anche loro ai trasferimenti verso l’Ospedale di Ondjiva, la capitale della nostra Regione, dei casi chirurgici e ostetrici che non si potevano trattare qui.

Quel mese in Maternità è stato molto bello: tanti parti, qualche bambino aiutato a nascere usando la ventosa, qualche altro rianimato dopo la nascita perchè non respirava (poi arrivavano le pediatre e portavano avanti la rianimazione, di solito con successo). Ho anche dovuto studiare molto perchè molte cose, imparate in Uganda oltre 30 anni fa, non le ricordavo più o sono cambiate.

Ma lo stress di quel periodo ha fatto precipitare una situazione già per me difficile perché comunque gli altri problemi dell’ospedale restano, in tutta la loro drammaticità: mancano molti farmaci e reagenti di laboratorio; l’apparecchio radiologico è rotto da oltre un anno e non si vede una soluzione per la sua sostituzione, l’unico generatore grande dell’ospedale ha frequenti guasti e bisogna chiamare un tecnico esterno per ripararlo e questo viene quando ha tempo (è molto richiesto in giro); le 5 elettropompe a immersione che pompavano l’acqua da pozzi superficiali, scavati nella sabbia del fiume Mucope, qui vicino, si sono rotte tutte insieme e nessuno capisce cosa gli sia successo, quindi ne abbiamo comprata una nuova che però non ha funzionato, poi una usata che funziona bene e ora ne cercheremo altre ma senza sapere la causa del guasto delle pompe precedenti è facile che anche alle nuove succeda lo stesso; varie infermiere se ne stanno andando e già prima erano insufficienti, per cui p. es. le essenziali vaccinazioni col team mobile sono state sospese da mesi e si stanno quindi preparando le condizioni per una epidemia di morbillo, che qui è spesso letale.

Bianca e io siamo quindi intervenuti e ora paghiamo lo stipendio a 4 infermiere disoccupate che hanno accettato di lavorare a Chiulo con una paga dimezzata (150 €/mese invece dei 300 della paga completa); con altri colleghi del Cuamm (grazie ai soldi propri e a quelli raccolti da parenti e amici) abbiamo più volte comprato farmaci, reagenti e pezzi di ricambio di macchinari vari ma quanto possiamo mettere a disposizione è sempre poco per i consumi di un grande ospedale, basta solo per qualche settimana e poi si ritorna alle condizioni precedenti.

Ultimamente è arrivata anche qualche buona notizia: il Fondo Sovrano dell’Angola ci finanzia nuovamente, ma in misura ridotta, un progetto sulla salute materno-infantile che per 3 anni permetterà al Cuamm di continuare a mantenere a Chiulo un pediatra, un chirurgo e un’amministratrice-contabile, di comprare un nuovo veicolo per la supervisione delle unità sanitarie periferiche, di pagare (20 €/mese!) una trentina di levatrici tradizionali di villaggio (delle 110 che erano state  addestrate e pagate col progetto precedente), di comprare 1-2 mesi di farmaci per Chiulo e le unità periferiche. Insomma copre solo una parte delle esigenze reali: è importante ma non sufficiente.
La formazione in periferia di Levatrici Tradizionali di Villaggio: ne sono state formate 110. 
ora bisogna continuare con corsi di"refrescamento"

Subito dopo è arrivata la notizia che il Fondo Globale, con sede a Ginevra, finanzierà un altro progetto, questo contro la tubercolosi; ma è un progetto nato nel 2014 e da allora le condizioni sono profondamente cambiate in Angola; in particolare da oltre un anno il Governo non manda più gli indispensabili farmaci per la tubercolosi semplice e questo progetto prevede invece di mandare farmaci e apparecchiature per la rara tubercolosi multi-farmaco-resistente (meno del 5% dei casi ma molto pericolosa). Quando da Padova è arrivata l’annuale visita di supervisione, abbiamo fatto presente questa insieme alle altre necessità, anzi io ho chiesto di insistere col Fondo Globale (col quale siamo in contatto) affinchè reindirizzi il progetto sulla tubercolosi semplice e, se non ci si riuscisse, di chiedere a Papa Francesco (si proprio Papa Francesco in persona: siamo disperati per i nostri pazienti!) di fare un appello pubblico in favore dei malati di tubercolosi in Angola (e magari in altri Paesi che fossero nelle stesse condizioni) in modo da costringere il Fondo e/o i Governi a prestare finalmente attenzione e a darsi da fare per non lasciar morire decine di migliaia di persone (che lasceranno centinaia di migliaia di orfani) per una malattia che sappiamo ben curabile.
Ora speriamo nella Conferenza Episcopale Italiana, alla quale il Cuamm ha presentato un progetto di tre anni, ancora per sostenere la salute materno-infantile e che quindi andrebbe a completare il progetto del Fondo Sovrano.  Sempre in campo materno-infantile possiamo inoltre contare su dei fondi messi a disposizione da alcune Fondazioni bancarie italiane e su quelli che il Cuamm raccoglie da privati, Parrocchie, gruppi di appoggio: ogni contributo è essenziale ma, da solo, insufficiente.
Il Dr. Benvindo, uno dei 3 nuovi medici angolani arrivati recentemente, 
aggiungendosi al Direttore Sanitario, Dr. Ivo, qui da 4 anni.

E ogni anno è così: il Cuamm deve continuamente darsi da fare raccogliendo fondi privati in Italia e presentare progetti a vari donatori istituzionali, in Italia e all’estero, sperando che qualcuno di essi venga approvato. A Padova, dove è la sede centrale del Cuamm, sono oberati di lavoro nella preparazione e presentazione dei progetti ma anche nella rendicontazione di quelli che, approvati negli anni precedenti, si stanno realizzando o concludendo.

Ma anche in periferia, come noi a Chiulo, siamo stressati, sempre coi nostri problemi di farmaci, acqua, elettricità, Personale sanitario, laboratorio, attrezzature varie ecc. E a me continuamente si rivolgono i medici del Cuamm e il Personale dell’Ospedale per lamentare problemi, mancanze, disfunzioni, ma senza proporre soluzioni praticabili e senza che ci siano i mezzi per affrontare tutto ciò da parte del Cuamm e della Direzione dell’Ospedale.

In particolare per me la situazione è diventata insostenibile: non riesco a mantenere un adeguato distacco dalla situazione, non riesco a dirmi “pazienza, si fa quel che si può con quel che si ha” e quindi non vedo l’ora di tornare in Italia e lasciare a qualcun altro il mio posto troppo scomodo, in aiuto alla Direzione dell’Ospedale di Chiulo (con la quale, peraltro, lavoro molto bene). Con Bianca manterremo gli stipendi delle 4 infermiere per qualche mese, sperando che intanto il Cuamm trovi i fondi per continuare a pagarle e anzi per assumerne altre 9, il numero minimo per assicurare che ci siano almeno 2 infermieri per ogni reparto per ogni turno e 3 in Maternitá, specie di giorno quando c’è più lavoro, cosa che oggi spesso non avviene.

Esami di ammissione alla nostra Scuola Infermiere: alcuni dei 400 aspiranti ma i posti sono solo 74.
C'é un grande interesse per la formazione "tecnica", vista come unica possibilitá di uscire dalla povertá. E per l'Ospedale di Chiulo saranno un aiuto pratico nei periodi di tirocinio nei Reparti.

Il 20 dicembre partiremo per le ferie, che trascorreremo a casa in Italia, coi nostri figli ormai sparsi per il Mondo. Dovremo anche fare degli accertamenti sanitari: Bianca ha avuto un infortunio al ginocchio e forse avrà bisogno di un piccolo intervento e della successiva fisioterapia; io controllerò alcuni dei miei problemi vecchi e nuovi.

Quindi poi vedremo se potremo tornare a Chiulo fino a tutto marzo, per tornare definitivamente in Italia da aprile, come previsto.

Peccato, saremmo potuti restare di più e portare avanti le tante, troppe attività che hanno bisogno di sostegno, ma lo stress dovuto ai troppi problemi irrisolvibili presenti è stato troppo forte, è la stessa situazione che avevo giá vissuto nel 2012-13. E gli aiuti promessi, se arriveranno davvero, saranno troppo pochi e arriveranno troppo tardi: qualcun altro li userá e porterà avanti l’appoggio a Chiulo.

Cari saluti a tutti.
Marco


PS per chi aveva letto il blog precedente: l’HIV ha vinto e Conceição non ce l’ha fatta, morendo 5 giorni dopo il parto e lasciando un bambino troppo piccolo (1,9 Kg alla nascita); abbiamo anche finito lo sciroppo contro l’HIV da dare ai neonati da madre siero-positiva. Bernarda invece sta bene e ha ripreso in pieno le faticose attività di ogni brava madre e moglie africana.

lunedì 23 ottobre 2017

Ore da dimenticare (ma che non dimenticherò)

Sabato sera, tutti noi del Cuamm come al solito siamo a cena insieme: pizza in tante varietà, acqua fresca ma anche qualche birra piccola. Infine un dolce fatto in casa e qualche quadretto di cioccolata portata dall'Italia: essì, è una vita di privazioni!
Ma mi chiamano dalla sala parto e lí trovo tutti e 3 i letti da parto pieni, una donna seduta in sala parto su una sedia e un’altra seduta fuori, nella veranda, sulla panca dove di giorno aspettano le donne per il consultorio ostetrico. 
Entrando nella sala dalla veranda, la donna nel primo lettino, Veronica, al primo parto, smaniava ed era agitatissima, tenuta ferma con difficoltà da ben 3 sue familiari. Teresa, una delle 2  ostetriche di turno, mi chiede di usare la ventosa per aiutarla a partorire perché il parto stava durando troppo dato che, essendo così agitata, la giovane non coordinava le spinte con le contrazioni dell’utero. 
Intanto però le altre due partorienti stavano partorendo e le ostetriche hanno dovuto dedicarsi a loro e ai loro figli, lasciando Veronica ad agitarsi.
Ma dal reparto arriva, piegata in due per i dolori, anche Conceição, una 35enne con vari figli e l’AIDS molto avanzato, ormai magrissima, da settimane ricoverata in Maternità per polmonite e pleurite, con frequenza cardiaca e respiratoria molto alte e che non pensavo riuscisse a sopportare gli sforzi del parto. Invece approfitta del letto di mezzo, lasciato libero dalla più rapida delle 2 partorienti, ci sale da sola, si spoglia, fa il figlio, le esce pure la placenta, raccoglie il neonato, lascia la placenta, si riveste e, aiutata da una parente, se ne torna in reparto i 7 minuti e senza un lamento. Anzi respira pure meglio. Aveva giá ricevuto due dosi extra di anti-retrovirale e presto il neonato riceverà un apposito sciroppo per prevenire la trasmissione del virus anche a lui.
L’ostetrica pulisce il meglio possibile il lettino e il pavimento sottostante (c'era un AIDS!), svuota il grosso vassoio che scorre sotto il lettino e il tutto è pronto per un’altro parto. Intanto io ho cambiato i guanti non sterili, da esplorazione, una decina di volte, per passare a valutare piú volte le varie donne in travaglio.
Bernarda, la donna dell’ultimo lettino, quello in fondo, verso la finestra, partorisce a sua volta; era alla 42ª settimana e le avevamo indotto il parto per timore che il feto soffrisse a causa dell’invecchiamento della placenta.  Ma dopo il parto e il secondamento della placenta, l’emorragia sembra più intensa del solito e, su richiesta dell’ostetrica, metto i guanti sterili e valuto le condizioni del collo uterino: è molle e ha il margine molto irregolare, slabbrato, a causa del parto appena avvenuto ma non mi sembra di sentire lacerazioni.


L'ostetrica Teresa in un'altra occasione in cui c'erano 3 parti in contemporanea. Il lettino in primo piano è quello più vicino alla finestra, quello occupato da Bernarda; il 2ª lettino, con la donna col vestito multicolore, è quello usato da Conceição; il 3º, oltre il telo celeste, è quello più vicino all'ingresso dalla veranda (che non si vede) ed era occupato da Veronica; si vede bene l'ingresso dal reparto Maternità, dal quale entra Conceição quando sente imminente il parto.



Quindi finalmente possiamo dedicarci alla giovane agitata; chiedo di tagliarle il perineo per poter applicare la ventosa senza poi lacerarla. L’ostetrica prima fa un’anestesia locale,  lascia passare  qualche minuto perché l'anestetico faccia effetto e poi taglia con le apposite forbici. Applico la ventosa, l’ostetrica aspira l’aria con la pompa in modo che la ventosa si fissi al capo del bebè, tiro e in pochi minuti tutto è finito con sollievo della mamma, che smette di agitarsi, ma anche delle sue parenti e di tutti noi della Maternità. Teresa ricuce il taglio.


La ventosa ostetrica è formata da una pompa tipo bicicletta (a sinistra) ma con la valvola interna invertita per cui aspira l'aria. Una bottiglia per il vuoto con sopra una manometro (al centro) per verificare che la depressione sia dell'entità giusta. Una coppetta di metallo o silicone (a destra) da applicare alla testa del feto; tra la coppetta e la bottiglia c'è la maniglia da afferrare per tirare la coppetta (e la testa); tra maniglia e coppetta c'è una catenella o nel tubo o all'esterno del tubo(nel riquadro).




Torna quindi la calma e le due ostetriche si dedicano ad una pulizia più accurata della sala parto e degli strumenti usati (di notte non ci sono gli addetti alle pulizie). Manca l’acqua (da settimane) e Pedro, il marito di Bernarda ma anche capo-guardiano dell’Ospedale, viene mandato nelle case Cuamm a prenderne un secchio.
Presto toccherà alle due donne finora sedute.
Torno a casa e finalmente mi metto a letto. Ma poco dopo le 23, quando ormai il generatore è stato spento, gracchia di nuovo la radio: si capisce solo “dr. Marco” e “emorragia”. Ho capito, mi vesto, mi studio rapidamente le istruzioni su cosa fare in caso di emorragia post-partum (mica sono un ginecologo, io!) e corro in Sala Parto, dove trovo il disastro: Bernarda è in un lago di sangue! La normale emorragia del parto non si è fermata, anzi: c’è sangue su tutto il lettino e per terra; l’ostetrica Cristina sta facendo una compressione bi-manuale dell’utero, cioè con la destra a pugno, nella vagina, comprime il collo dell’utero contro la sinistra che invece spinge su fondo dell’utero dall'esterno, sulla parete addominale, poco sotto l’ombelico. Dopo essermi letto le preziose “istruzioni”, mentre prendevo lampade, radio, cellulare ecc., Bianca aveva prelevato dal nostro deposito sia dei farmaci per far contrarre l’utero sia dei farmaci coagulanti e cosi in Sala Parto li usiamo tutti ... di più non abbiamo. Poi di corsa in Sala Operatoria dove intanto si era materializzata l’anziana ma inossidabile infermiera Felismina al posto dell’infermiera Ilda, che doveva essere di turno ma non si era presentata.
Decidiamo di non trasferire Bernarda all'Ospedale Centrale di Ondjiva (ci vuole 1 ora e mezza ... non ci arriverebbe viva), attiviamo la laboratorista Josefa, che subito fa il gruppo sanguigno e rimedia due sacche di sangue compatibili, Felismina induce l’anestesia generale e con l’aiuto della solita Cristina iniziamo a cercare la lacerazione.
A dire il vero la lacerazione la individuano loro che hanno l’occhio allenato: Felismina é l'infermiera che sutura tutte le ferite degli incidenti più vari, Cristina sutura i tagli che fa con le forbici e le lacerazioni spontanee dei perinei delle partorienti. Grazie alle loro indicazioni, grazie a Cristina che tiene i divaricatori e a Felismina che continua l’anestesia generale iniettando anestetico ogni pochi minuti ma che anche mi passa gli strumenti e i fili di sutura man mano che servono; grazie alla lampada scialitica della sala operatoria ma anche alla lampada frontale da ciclista che avevo io e non si è esaurita per tutto il tempo; in oltre un’ora di lavoro, con Cristina in ginocchio alla mia sinistra che si appoggiava alla mia coscia, con la mia mano sinistra che tremava incontrollabile e dovevo appoggiarla alla coscia di Bernarda per poter reggere la pinza mentre con la destra mettevo alla bell'e meglio i punti, alla fine abbiamo quasi fermato l’emorragia, nel senso che usciva ancora un minimo rivolo di sangue. Felismina ha poi introdotto a forza nel canale del collo dell’utero una garza sterile che facesse da tampone contro l’area dell’emorragia e poi abbiamo aspettato ... ore, continuando a controllare il sanguinamento sempre più esiguo, la frequenza cardiaca che tendeva a normalizzarsi, le trasfusioni di sangue e le flebo per sostituire il sangue perso, sempre col timore che l’emorragia riprendesse vigore.
Per non perdere tempo e restare sveglia, l’ottima Felismina si è messa a pulire la Sala Operatoria, sempre col problema che l’acqua arriva con i secchi, usando a mano stracci davvero ridotti a stracci e delle bacinelle ormai crepate in più punti, per cui devono essere tenute inclinate sennò si spargono i luridi liquami che contengono (nei prossimi giorni gliene compreremo di nuove: quelli della Chirurgia se lo meritano).


L'angolo lavabi della Sala Operatoria: i 2 lavandini non hanno piú acqua dai rubinetti e quando ci si lava prima di un'operazione, un infermiere attinge dell'acqua non potabile dal bidone bianco con una mezza bottiglia di plastica (che diventa così una specie di caraffa) e la versa poi sulle mani del chirurgo per sciacquarle.
A sinistra si intravvede Bernarda distesa sul lettino dopo l'operazione e, accucciata accanto a lei, Felismina, che inganna il tempo facendo le pulizie.



Finalmente alle 5,30, mentre il cielo fuori cominciava prima a schiarirsi e poi rapidamente tornava la consueta giornata abbagliante, abbiamo deciso che poteva andare bene così e abbiamo rimandato Bernarda in Maternità, con Pedro che ringraziava in modo commovente perché tutti avevano capito la gravità della situazione e gli sforzi fatti per salvare Bernarda. 






Durante la notte Cristina ha ceduto alla stanchezza. A sinistra la bacinella crepata (si intravedono alcune crepe, nere, vicino al bordo, in alto a destra) che deve essere usata inclinata per non spargere nuovamente i liquami raccolti.






Bernarda ce l’ha fatta e si è portata a casa questo 5º figlio. Mi sono raccomandato con Pedro che la facciano stare a riposo in modo che per un mese non si sottometta a tutte le pesanti incombenze quotidiane delle donne di qui.
Alcuni giorni fa, dopo aver avvisato della mia intenzione, ho lasciato la Maternità ai colleghi angolani, che pare se le stiano cavando bene, anche loro con l’aiuto delle nostre esperte ostetriche. Io così posso tornare a fare il consulente della Direzione dell’Ospedale. Il 2 novembre dovrebbe tornare il chirurgo Giorgio e tutto dovrebbe tornare alla normalità, senza i tanti trasferimenti a Ondjiva che abbiamo dovuto richiedere in queste settimane e i rischi che le inconsapevoli donne hanno corso quando ero io a occuparmi di loro.
Quindi i miei prossimi racconti non dovrebbero più essere così drammatici.
Un caro saluto a tutti.

Marco

sabato 7 ottobre 2017

Gli imprevisti dei parti

Per ora ancora non si sa esattamente se e quando Giorgio (o un qualche altro chirurgo o ginecologo) tornerá a Chiulo. Per fortuna ancora non ci sono state chiamate per cesarei o gravidanze ectopiche d’urgenza. Ho trasferito molte donne a rischio di cesareo, soprattutto perché avevano giá avuto in passato uno o piú cesarei e quindi erano a rischio di rottura d’utero quando poi si prova a farle partorire per via naturale. Le mandiamo all'Ospedale centrale della nostra Regione, a Ondjiva: lí hanno chirurghi e ginecologi ma non hanno il resto per cui quando trasferiamo qualcuno dobbiamo mandargli 5 paia di guanti chirurgici sterili, mettere al paziente una flebo endovena, fargli l'esame del sangue e il gruppo sanguigno!
Ma c’é stato bisogno di varie applicazioni di ventosa, perché il parto si prolungava in modo pericoloso, e di qualche raschiamento uterino per aborto incompleto. Ormai con la ventosa mi giostro abbastanza bene ma una delle volte si é conclusa davvero male: il neonato é nato morto e non siamo riusciti a rianimarlo; in un altro il cuore batteva ma non respirava e anche lui l’abbiamo rianimato a lungo: alla fine ha cominciato a respirare autonomamente ma sembra che abbia anche lui avuto dei  danni cerebrali a causa del parto troppo prolungato ed é morto dopo 5 giorni ... insomma davvero difficile.
C’é anche stato un avvenimento tragico e invito chi non sopporta cose troppo truculente a saltare la parte in corsivo di questo paragrafo. E´successo questo. Una donna a termine dell’11ª gravidanza, quindi con un utero stanco, sfibrato, dopo aver tranquillamente passato la giornata chiacchierando e passeggiando intorno alla sua casa, qui vicino, la sera si é messa a letto (= una coperta per terra nella sua capanna) e improvvisamente ha cacciato un urlo. I familiari, immediatamente accorsi, l’hanno trovata esanime, apparentemente morta; quindi in 4 l’hanno afferrata e l’hanno portata di corsa in Ospedale, distante poche centinaia di metri.
Arrivata in Sala Parto le 2 ostetriche di turno mi hanno immediatamente chiamato via radio perché anche loro convinte che la donna fosse morta; erano le 19.30. Arrivato dopo 10 minuti, anche io e le 2 allieve ostetriche (1 di Roma e 1 del Napoletano) abbiamo confermato: niente battito cardiaco, pupille dilatate e fisse. Per scrupolo ho chiesto all’ostetrica di controllare se ci fosse battito cardiaco fetale e quella, con un apparecchietto digitale, con sorpresa mi ha mostrato che il battito c’era, lento (72/minuto) ma c’era!
Allora siamo corsi con la barella a rotelle fino alla Sala Operatoria. Lí l’infermiera anestesista Felismina e la ferrista Ilda hanno aperto un pacco di ferri sterili per i cesarei, io ho indossato solo guanti e grembiule di plastica, senza lavarmi (tanto era morta) né mettermi camice-mascherina-cuffia, lasciando la donna sulla barella; Ilda mi ha dato una lama di bisturi che ho cercato inutilmente di fissare al manico, la lama é caduta per terra, l'ho raccolta (tanto era morta) ma continuava a non fissarsi; allora Felismina ha fatto apparire un raro bisturi monouso e subito incido la pelle dall’ombelico al pube. Arrivato alla cavitá addominale ne é escita una grande quantitá di sangue e coaguli; per vedere l’utero, io e Ilda abbiamo cominciato a portar via manciate di sangue e coaguli gettandoli in una bacinella tra le gambe della donna perché l’aspiratore non l’avevamo attivato per guadagnare tempo. Finalmente emerso l’utero l'ho inciso come in un normale cesareo, arrivato al feto, l´ho tirato fuori e l´ho passato alle allieve ostetriche e alle specializzande in pediatria, che intanto erano arrivate: forse il cesareo piú rapido della storia! Con piú calma, sempre assistito da Ilda, ho richiuso la parete addominale per restituire al meglio la donna alla famiglia.
Intanto specializzande e allieve cercavano di rianimare il neonato: il cuore batteva ancora e pian piano é tornato ad avere una frequenza alta, normale nei neonati. Ma non respirava, non ha mai respirato. Ogni tanto un breve, rapido e superficiale respiro (il c.d. gasping) ma niente di piú. Dopo 45 minuti di rianimazione abbiamo lasciato perdere: abbiamo avvolto il bimbo in una coperta che i parenti avevano portato e lo abbiamo trasferito in Pediatria, dove c’é una culla riscaldata, spiegando peró alla famiglia che non solo la donna era morta, probabilmente per una improvvisa rottura dell’utero, indebolito dalle troppe gravidanze, ma che anche per il figlio non c’era niente da fare: il cuore batteva, ogni tanto faceva un respiro, ma dovevano giá considerarlo morto anche lui; uno dei parenti gli doveva restare accanto fino alla fine per poi prenderselo e fargli il funerale con la madre.
Quindi tutti insieme, espatriati, infermiere, ostetriche e la trentina di familiari che intanto si erano raccolti nei corridoi aperti intorno alla sala operatoria, abbiamo portato il corpo della madre nella Camera Mortuaria, attraversando nella notte i prati che la separano dall’Ospedale, illuminando con le torce elettriche il sentiero a scanso di incontri con le vipere, attualmente piuttosto numerose.
I familiari si sono comportati con grande dignitá: Felismina, la piú anziana delle infermiere, ha spiegato a tutti quel che era successo e la famiglia lo ha accettato senza recriminazioni, manifestando riconoscenza per il tentativo fatto in favore del bambino. Ben diverso avviene in Italia per molto meno. Comunque tutti noi dell’Ospedale eravamo sí molto tristi ma anche soddisfatti per lo spirito di squadra, la rapiditá e l’impegno da tutti dimostrati: abbiamo fatto del nostro meglio in tutte le fasi e abbiamo cercato di dare una possibilitá al bambino (i feti e i neonati a volte sorprendono per la loro vitalitá), purtroppo inutilmente. Resta il dubbio che forse avremmo fatto meglio a lasciarlo morire in pochi minuti nella madre e non dopo 5 ore in Pediatria.
Altri imprevisti minori: mai mettersi davanti ad una donna che, dopo aver partorito il figlio, deve ancora espellere la placenta: a volte viene fuori il tutto a tappo di spumante, imbrattando di sangue chi c’é davanti, tanto da farlo sembrare uno di quegli assassini che poi depezzano la vittima con la sega elettrica ... e poi é pure difficile lavar via il sangue senza lasciare macchie!
Stavolta aggiungo una foto notturna di Teresa, l’ostetrica che porta sempre con sé il figlioletto, o in braccio, magari per allattarlo, o sulla schiena, quando ha le mani impegnate p.es.durante l’assistenza ad un parto, come si vede nella foto.

  L'ostetrica Teresa segue un parto notturno, 
col figlio sulla schiena a cui non fa mai toccare terra.



Con una media di 6 parti al giorno, non é raro avere tutt'e tre i letti da parto occupati. 
Ma Fernanda, come le altre 7 ostetriche di Chiulo, non perde mai la testa.



Aggiungo che da mesi, per continui guasti alle pompe dei pozzi, non abbiamo l’acqua in ospedale, neanche nei pochi lavandini dove riusciva ad arrivare: l’acqua viene portata con i secchi nei reparti e anche in sala operatoria, prima delle operazioni, ci si deve “lavare” mani e avambracci con acqua che un ausiliare prende da un bidone con una mezza bottiglia di plastica e che poi lascia gocciolare sulle mani da lavare, per poi farla finire in una bacinella ... forse in tempo di guerra una situazione del genere si puó accettare, ma dopo 17 anni di pace é davvero incredibile essere ancora in queste condizioni. Forse fa bene Teresa a tenersi il figlio sempre addosso e mai lasciarlo gattonare sul pavimento della Maternitá!
Un caro saluto a tutti.

Marco

domenica 17 settembre 2017

Di nuovo nella trincea del Reparto Maternitá

Oltre a tutti i guai che abbiamo avuto finora ci si doveva anche aggiungere l’improvvisa partenza di Giorgio, l’anziano ed espertissimo chirurgo-ginecologo, richiamato in Italia per gravi motivi di famiglia!
E cosí, visto che i medici italiani sono tutti specialisti e non sanno seguire casi di specialitá diverse dalla loro, mi sono rimesso al lavoro in ostetricia, dove pare che io sia l’unico con qualche conoscenza, peraltro maturata oltre 30 anni fa in Uganda.
E cosí di nuovo in sala parto: una applicazione di ventosa per un feto che tardava troppo a nascere perché la madre aveva esaurito le forze. E poi parti podalici e gemellari, che in Italia verrebbero fatti nascere con un parto cesareo.
E poi, oltre ai tanti parti normali (dei quali in realtá si occupano le sole ostetriche locali) e ai parti complicati (come quelli podalici e gemellari), ci sono le donne gravide che si ammalano di altro: malaria, infezioni varie in tutti i possibili organi, minacce di parto prematuro. Per fortuna per ora non si sono visti casi di grave ipertensione né nessuna ha avuto bisogno del parto cesareo.
E proprio eventuali parti cesarei e gravidanze ectopiche mi preoccupano tantissimo. Ne ho fatti vari ma oltre 30 anni fa; sono operazioni “facili” ma diventano molto difficili se la donna, per infezioni o precedenti cesarei, ha aderenze nell’addome che distorcono l’anatomia normale e incollano le anse intestinali all’utero, in un caos difficile da districare. Nelle 3 settimane almeno di assenza di Giorgio, é sicuro che qualche caso del genere si presenterá, prima o poi; se possibile li manderemo in ambulanza all’Ospedale di Ondjiva, a 90 minuti a sud-est, l’unico altro ospedale della Regione che abbia una sala operatoria, ma se la malcapitata fosse in pericolo immediato di vita dovró decidere se me la sento di provare a operarla.
Per fortuna sia in sala parto, finora, che in sala operatoria, in futuro, posso contare su ostetriche e infermiere con grande esperienza, che finora mi hanno aiutato molto, anche nella scelta delle medicine da prescrivere e dei relativi dosaggi e, in futuro, p. es. su quali fili di sutura usare per i vari strati da ricostruire nel richiudere l’addome di un cesareo o di una gravidanza ectopica.
In questi giorni sono inoltre presenti anche due allieve ostetriche, rispettivamente di Roma e del Napoletano, e anche loro mi aiuteranno, leggendomi in diretta i passi descritti nei libri di chiurgia per quelle operazioni.
Il pericolo, per le donne, sta soprattutto nel fatto che possono esserci complicazioni impreviste durante l’intervento, spesso a causa di quelle maledette aderenze: un vaso importante tagliato inavvertitamente o un’ansa intestinale forata ; é allora che si vede la differenza con un vero chirurgo: lui/lei sa cosa fare per riparare la complicazione, io no. Speriamo che la Provvidenza ci aiuti, le donne e me!
Intanto ho saputo che nell’Ospedale Protestante di Lubango , a 3 ore a nord-ovest da Chiulo, ci sono ben 3 ginecologi: troppi, si annoieranno! Quindi scriveró a quell’Ospedale chiedendo che 1 di loro, o a turno, vengano a darci una mano qui, come giá fecero nel 2012, quando a Chiulo ci fu un’altra crisi simile.
Intanto sono sempre in ansia e la notte non riesco piú a dormire in modo continuativo: ostetriche e infermiere possono chiamarmi col walkie-talkie in qualsiasi momento del giorno e della notte e, con il loro aiuto, dobbiamo inventarci qualcosa per salvare possibilmente tutt’e due, mamma e figlio. Speriamo che arrivino i rinforzi dei Protestanti, un po’ il nostro 7º Cavalleggeri. Sempre sperando che torni Giorgio, il nostro inossidabile 70enne, esperto in tutte le branche della chirurgia, incluse ortopedia e ostetricia-ginecologia.

Il consueto affollamento del Reparto Maternitá


Il momento piú difficile di un parto podalico: la testa tende a restare incastrata! 
E allora la grande esperienza (del dr. Giorgio) aiuta davvero.


Devo aggiungere che le due allieve ostetriche sono molto contente dell’esperienza di 3 settimane che stanno facendo qui: il Personale locale é gentile e accogliente con loro, stanno vedendo casi anche sconvolgenti che in Italia non esistono perché si risolve tutto con un parto cesareo e stanno vedendo anche dei piccoli errori qua e la; per fortuna non intervengono a correggere le nostre esperte ostetriche ma ci segnalano le cose che non sembrano ben fatte, ne discutiamo insieme e poi noi medici “stanziali” cercheremo di apportare le correzioni opportune: quando si entra in un contesto come il nostro bisogna farlo “in punta di piedi”, con delicatezza e rispetto, non irrompendo come un elefante in un negozio di vetri di Murano! E queste due giovani si stanno comportando proprio bene, peccato che vadano via cosí presto.
Un caro saluto a tutti.

Marco

venerdì 8 settembre 2017

Un periodo difficile (piú del solito)

Carissimi,
é da un po’ che non scrivo niente di nuovo e invece ce ne sarebbero di cose da raccontare! Niente di avventuroso, naturalmente, ma comunque interessante.
Da mesi il Governo, pur pagando regolarmente il personale qualificato dell’Ospedale (direttori, medici e infermieri, alcuni operai e autisti) non invia piú il suo contributo mensile né farmaci e altri prodotti sanitari monouso (siringhe, guanti ecc.).
Ma ora anche il contributo del Cuamm si é molto ridotto: il progetto sull’intera Provincia finanziato dall’UE (contro la denutrizione infantile) e quello sostenuto dal Fondo Sovrano dell’Angola (per la salute materna e infantile) si sono conclusi. Le due cooperanti che li seguivano sono giá tornate a casa. Il pediatra e la ginecologa, il cui costo veniva pagato dai due programmi, restano ma a carico dell’unico progetto rimasto (“Prima le Mamme e i Bambini: nutriamoli”, finanziato da un gruppo di Fondazioni Bancarie italiane; anche la mia presenza qui era e resta a carico di questo “progetto Fondazioni”) e delle donazioni di gruppi d’appoggio e privati al Cuamm. Quindi niente piú farmaci in quantitá adeguate né attrezzature in sostituzione di quelle che si rompono né aiuto all’Ospedale per comprare il combustibile per generatori elettrici e ambulanza ecc. ecc. Vengono sospesi anche i “mama kit” (un bacile, una barra di sapone, un asciugamano e delle mutandine porta-assorbente per il neonato, una pezza di tessuto per legarsi il piccolo sulla schiena) che finora venivano dati ad ogni neonato per incoraggiare i parti in Ospedale (e avevano funzionato, con i parti raddoppiati in 2 anni!) e le visite di supervisione alle 31 unitá periferiche governative e al Centro di Salute della Chiesa Luterana. Molto ridotti i contributi per dar da mangiare ai ricoverati in Pediatria e Tisiologia: la maggior parte dei ricoverati anche di questi due reparti gli alimenti dovranno portarseli da casa, come é da sempre per gli altri reparti.
Piccoli fondi della Conferenza Episcopale Italiana e della Cassa di Risparmio di Biella e Vercelli sono stati preziosi per mantenere l’attivitá della Casa de Espera (Casa di Attesa, dove le donne gravide che abitano a decine di Km dall’Ospedale vengono a vivere nelle ultime settimane prima del parto, senza intasare il Reparto Maternitá) con le sue due coordinatrici (una levatrice tradizionale e un’unfermiera disoccupata) e i costosi “kit alimentari” (un sacchetto con riso, farina di mais, fagioli, olio di semi ecc.) che vengono dati a ogni gravida all’ingresso nella Casa.
I due progetti conclusi erano molto importanti perché, oltre ad assicurare due medici all’ospedale (e due cooperanti al territorio), assicuravano l’arrivo di farmaci, reagenti di laboratorio, altri dispositivi sanitari di consumo, combustibile, nuovo equipaggiamento sanitario per pediatria, maternitá e sale operatorie.
E cosí per alcune settimane gli infermieri sono stati costretti a lavare e riusare i guanti non sterili di lattice, necessari per proteggersi dalle infezioni qunado si medicano o visitano i pazienti; i pazienti che devono fare iniezioni ricevevano in dotazione una singola siringa monouso, di plastica, che doveva poi essere usata nei giorni successivi, senza risterilizzarla né disinfettarla (tanto il paziente era sempre lo stesso, no?). Poi finalmente sono arrivati un po’ di farmaci e altri prodotti di consumo ordinati dal Cuamm in Olanda all’inizio di Apile e (ancor meno) inviati dal Governo, e questo ha alleviato le nostre difficoltá; ora con i soldi donatici da amici e parenti compreremo quel che ancora manca e per un paio di mesi dovremmo essere piú tranquilli, poi speriamo nella Provvidenza e nel fatto che il Cuamm ha presentato varie proposte di progetti a varie istituzioni e speriamo che almeno per alcuni di loro ci sia una risposta favorevole.
Finché da Governo e progetti Cuamm sono arrivati farmaci in quantitá adeguate, i farmaci venivano prescritti da infermieri o medici e poi i pazienti li andavano a ritirare nella Farmacia per Esterni dell’Ospedale senza aggravio del ticket pagato. Ora che i farmaci sono cosí pochi ovviamente non possono piú essere ritirati qui ma i pazienti devono andarseli a cercare nelle farmacie private che prosperano nei centri piccoli e grandi, pagandoli profumatamente. Questo succede da molto negli Ospedali Governativi “puri” ma qui a Chiulo finora eravamo riusciti ad evitarlo sia per i pazienti ambulatoriali che per quelli ricoverati. Nei centri governativi da anni il paziente viene visitato ma, prima di essere ricoverato, deve procurarsi tutto il necessario per le sue cure: cerotti, garze, siringhe e aghi, guanti sterili e non sterili, fili da sutura, catetere, medicinali vari, a seconda della propria malattia. Qui a Chiulo finora non si é arrivati cosí in basso ma é una lotta quotidiana e medici e infermieri segnalano continuamente le carenze man mano che si manifestano e si lamentano ma inutilmente: senza soldi che arrivino dal Governo o altra fonte non si puó procedere a nessun acquisto in quantitá adeguate, “ospedaliere”.
L’Ospedale ha un suo Consiglio di Amministrazione, presieduto dal Vescovo e di cui fa parte anche il Cuamm, che dovrebbe decidere quali sviluppi deve avere nei prossimi anni l’Ospedale e trovare le risorse necessarie per conseguire gli obiettivi decisi, e un Comitato di Gestione, formato dai Direttori dell’Ospedale (D. Generale, Amministrativo, del Personale e alcuni consulenti interni tra i quali sono anche io come rappresentante del Cuamm) che dovrebbe mettere in atto le attivitá necessarie per raggiungere quegli obiettivi usando risorse messe a disposizione dal CdA. Ma il Vescovo ha altre prioritá, avendo una Diocesi povera e dovendo aiutare i preti e le suore a sopravvivere, contemporaneamente riparando per quanto possibile Chiese, case parrocchiali,  conventi e scuole. Il Governo resta il partner piú importante dell’Ospedale, fornendo i salari al personale qualificato, ma a causa della crisi del prezzo del petrolio non riesce a fare di piú. Il Cuamm cerca piccoli fondi e presenta grossi progetti a Enti italiani e internazionali e deve attenderne le decisioni.
E cosí anche noi del Comitato di Gestione abbiamo cominciato a cercare risorse: la Direttora Generale ha telefonato al Vice-Ministro della Salute, che lavorava nella nostra Regione e col quale ci conoscevamo bene (proprio una brava persona, oltre che un bravo medico) per chiedergli di farci in qualche modo avere un chirurgo o un ginecologo, da affiancare a quello che il Cuamm continuerá a garantire. Sempre la Direttora ha chiesto al Vescovo si fare pressione sul Governatore regionale perché ci regali un nuovo grande generatore e/o un veicolo, per sostituire quelli attuali, vecchi e con frequenti avaríe che necessitano di lunghe e costose riparazioni.
Io ho chiesto un chirurgo o un ginecologo sia a una ONG olandese che negli anni ’90 aveva mandato qui 2 medici, sia a una ONG protestante americana che invia medici e chirurghi in vari sopedali protestanti nel Mondo (ma qui siamo cattolici! Mbé ma sempre “uomini di Buona Volontá”, no?). Ho anche scritto ai Pratesi della Florida per vedere se riescono a fare raccolte fondi a nostro favore.
Per ora tutte queste richieste, mie e della Direttora, sono rimaste senza risposta.
Infine 2 altri membri del Comitato di Gestione, i signori Gildo e Jorge, hanno presentato un progetto all’Ambasciata del Giappone per riaprire la nostra storica Scuola Infermiere. Questo aiuterebbe l’Ospedale perché le allieve, frequentando i reparti, darebbero un importante aiuto concreto allo scarso personale dell’Ospedale. Nei giorni scorsi un funzionario dell’Ambasciata é venuto a verificare che fine avessero fatto i fondi che ci avevano donato nel 2014 per costruire il Pronto Soccorso; é rimasto molto soddisfatto di vedere che il PS c’é, rispetta  il progetto concordato e funziona perfettamente; lui sta facendo il giro dei progetti finanziati dal Giappone e finora ha trovato realizzazioni che non funzionano o uso dei loro finanziamenti per cotruire tutt’altro rispetto al progetto concordato ... insomma era molto soddisfatto di Chiulo: “pacta sunt servanda”!  Gli abbiamo ricordato la proposta di riapertura della Scuola Infermiere ma in alternativa, se all’Ambasciata non piacesse una cosa del genere, gli abbiamo proposto di comprarci un nuovo generatore grande o un parco fotovoltaico, che darebbe energia all’Ospedale senza dover pagare il combustibile per il generatore.
Vedremo se qualcuno di questi tentativi avrá successo ma il nostro problema principale é la mancanza di farmaci e altri consumabili: la nostra Medicina, quella “occidentale”, che si studia nelle Universitá, si puó fare sotto un albero, possono pensarci gli infermieri con pochi medici a supporto, di notte si possono usare torce elettriche e lampade a petrolio ma senza farmaci e gli altri consumabili siamo paralizzati.
L’unico farmaco che puó essere prodotto qui é il sangue per le trasfusioni ma anche per quello ci sono rimaste solo poche sacche dove metterlo ... anche le sacche, che dovrebbero essere fornite dall’apposito programma ministeriale, non arrivano da mesi. E allora noi del Cuamm ci stiamo dando da fare per farcene regalare in Italia e farcene portare 10-20-50 alla volta dai vari medici, parenti e amici che vengono a trovarci. Contemporaneamente ne stiamo cercando a Luanda, la capitale dell’Angola, per evitare questa importazione informale, che sa un po’ di contrabbando, anche se a fin di bene.
Insomma, malgrado tutti i trucchi e gli escamotage che riusciamo a inventarci, qui, se non cambia sul serio qualcosa, siamo messi proprio male.
Ieri ho dovuto fare una visita di supervisione ad alcuni centri periferici dove abbiamo potuto costruire delle Case de Espera (case di attesa) per le donne gravide, iniziativa che ha avuto molto successo come ho avuto giá modo di scrivere: aggiungo qui sotto alcune foto della foratura di una gomma, imprevisto frequente e per fortuna che abbiamo un autista che pensa a tirarci fuori dai guai (con l’aiuto degli altri).
Cari saluti a tutti.

Marco

Fermi lungo la pista per una foratura con l'équipe della supervisione 


Le due ruote di scorta sono sul portabagagli del tetto. Oggi ne é servita una sola.


L'autista al lavoro, sotto lo sguardo interessato della Diretora Municipal della Formazione Continua



sabato 1 luglio 2017

visita al Lebbrosario di Oifidi



Padre Virginio, della Missione  Omupanda, vicino a Ondjiva, da anni segue il Lebbrosario di Oifidi e qualche tempo fa, approfittando di un periodo di studio a Roma, ha cntattato la ong AIFO, specializzata nell’assistenza ai lebbrosi, per chiederne il sostegno.
AIFO non ha progetti nei dintorni e quindi ha chiesto al CUAMM di effettuare un sopralluogo e il CUAMM ha girato a noi la richiesta.
Quindi abbiamo saputo che chi piú segue il Lebbrosario é Suor Dionisia, Superiora del Convento di Ondjiva delle Suore Benedettine di Oshikuku; con lei abbiamo concordato che ci accompagnasse nella visita e martedí 27 Giugno io e Laura Villosio, che a Chiulo si occupa dei 32 dispensari periferici, siamo andati al Lebbrosario.Durante la visita si é fermato brevemente a parlare con noi il Padre diocesano João de Deus Mandume, della Missione di Omupanda, casualmente presente sul posto.


S. Dionisia, P. Mandume e D.ra Laura
Il Lebbrosario di Oifidi si trova a circa 7 Km dalla cittá di Ondjiva, il capoluogo della Provincia del Kunene, in Angola. Per la pastorale, appartiene alla Parrocchia della Missione di Omupanda
  
I nuovi casi di lebbra sono ormai rari anche in Angola (a Chiulo ne arriva in media 1 al mese) ma restano molti vecchi lebbrosi, con gravi invaliditá dovute alla fase attiva della loro malattia: cecitá, amputazioni delle estremitá, continue ferite e ustioni delle aree di pelle rimaste insensibili. Il Lebbrosario segue 110 di questi ex-lebbrosi. Di questi, solo 3 vivono nel Lebbrosario p.d. mentre gli altri abitano con le loro famiglie, nelle immediate vicinanze del Centro. La Suora ritiene che sia opportuno mantenere i lebbrosi nelle loro famiglie, evitandone il piú possibile l’istituzionalizzazione ma nello stesso tempo favorendone la socializzazione facendogli frequentare il centro per usarne i servizi, cosí da evitare l’isolamento in famiglia.
Il Lebbrosario occupa un ampio terreno dove restano i ruderi delle originarie 3 abitazioni in muratura, negli anni scorsi sostituite dal Governo con 3 baracche metalliche, troppo calde di giorno e troppo fredde di notte.  All’interno delle baracche vivono i tre lebbrosi residenti, in condizioni igieniche pessime, sia a livello personale che come abiti, letti (materassi di gommapiuma stesi sul  terreno e vecchie coperte, il tutto incredibilmente sudicio) e ambiente interno alle loro stanze.


I vecchi alloggi in muratura, ormai ridotti a ruderi


I nuovi alloggi, in lamiere metalliche su basamento di cemento (che fa da pavimento alle camere). All’esterno stazionano i Lebbrosi residenti e i familiari che li vanno a visitare.

Il Lebbrosario consta anche di altri edifici in muratura: uno piú piccolo, che ospita una delle 4 classi elementari della scuola locale, l’altro, molto grande, in buona parte occupato da un ampio spazio coperto ma senza pareti, ex-refettorio del Lebbrosario e ora usato per distribuzione alimenti e Messe, mentre l’altra estremitá, in via di crollo, ospita il Centro di Salute: due camerette dove un’infermiera governativa tutti i giorni lavorativi arriva da Ondjiva, per curare e medicare i malati dell’intera zona, col pochissimo materiale che ha a disposizione.


Da sinistra: aula scolastica in lamiera, aula in muratura;
piú distanti due degli alloggi vecchi.


L’ex-refettorio. All’altra estremitá ha sede il Posto di Salute.





Il Posto di Salute – Esterno



L’interno del Posto di Salute, con l’Infermiera e i pochi farmaci a disposizione.

Infine in altre baracche metalliche sono ospitate le altre 3 classi elementari della scuola i cui Insegnanti, peró, quando possibile fanno lezione all’aperto, all’ombra degli alberi.


Una delle classi scolastiche in lamiera.



Si preferisce far lezione sotto gli alberi.

Il centro oltre ad ospitare i 3 lebbrosi, é frequentato dagli altri 107 lebbrosi che abitano con le loro famiglie nelle immediate vicinanze e dai parenti di tutti (figli, nipoti e bisnipoti), nonché dagli altri bambini della zona per seguire i primi anni degli studi elementari (dopo devono andare nelle scuole della vicina Ondjiva).
Il centro é privo di elettricitá e riceve l’acqua dalla vicina casa del P. Mandume (che peró abita nella Missione di Omupanda, a circa 15 Km di distanza), che la pompa da un pozzo profondo quando ha i soldi per comprare il combustibile per il piccolo generatore elettrico; in questo caso l’acqua arriva ad un rubinetto posto presso le baracche-abitazioni; quando questa acqua di pozzo non é disponibile per mancanza del combustibile, i parenti dei lebbrosi durante la stagione delle piogge devono andare ad attingerla in uno stagno distante poche centinaia di metri mentre nella stagione secca bisogna arrivare ad Ondjiva.


In fondo: casa di P. Mandume (che non vi abita);
in mezzo: l’orto col suo serbatoio per l’irrigazione.
Per l’alimentazione dei lebbrosi Suor Dionisia puó contare solo sul cibo donato spontaneamente dagli altri Parrocchiani, e da loro consegnato direttamente alle Suore o alla locale Caritas, che poi lo mette a disposizione della Suora; tali donazioni sono quindi irregolari per frequenza, tipologie di alimenti e loro quantitá. Nulla viene dato dal Governo. Le Suore Benedettine a loro volta sono troppo povere per fare di piú: la loro Comunitá é costituita da 17 Aspiranti e 6 Suore, di cui solo 3 lavorano (2 come insegnanti e 1 come infermiera nell’Ospedale governativo) e mantengono tutte e 23.
Abbiamo anche visitato alcune abitazioni dei dintorni: le piu povere sono costituite solo da capanne tradizionali, di fango secco con tetto di paglia, ogni capanna dedicata ad un diverso uso (dormire, cucinare, mangiare, ricevere ospiti) il tutto racchiuso in un recinto e circondato dai campi di miglio, sorgo, zucche e poco altro. Altre case, di persone che hanno un lavoro retribuito in cittá, oltre alle capanne suddette, possono permettersi anche un edificio in blocchi di cemento, con una o due stanze al loro interno.




Le case piú povere, costituite da gruppi di semplici capanne tradizionali con il recinto che le separa dalle altre famiglie. In primo piano i campi di sorgo, dopo il raccolto.



Le capanne tradizionali viste dall’interno del recinto.





La casa di una famiglia meno povera, con capanne tradizionali ma anche una costruzione in blocchi di cemento. In primo piano i campi di miglio e sorgo.


Nel terreno tra il Lebbrosario e la casa di P. Mandume é stato allestito un orto che peró avrebbe bisogno di irrigazione artificiale nei 6 mesi della stagione secca.


L’orto del Lebbrosario con il serbatoio per la sua irrigazione

Abbiamo quindi informato l’AIFO che i bisogni principali ci sembrano questi:
     1.  Un intervento edile una tantum per riparare il Posto di Salute e gli altri edifici in muratura recuperabili.
2.    Una piccola fornitura annuale di bidoni e bacili di plastica, guanti ad uso domestico, grembiuli, scope e altro materiale per le pulizie.
3.    Una piccola fornitura mensile di detersivi per la persona, il vestiario e i piatti.
4.    Un kit alimentare mensile per i 63 lebbrosi piú poveri, affinché non siano troppo di peso per le loro povere famiglie; per gli altri, secondo Suor Dionisia, sarebbe sufficiente un kit simbolico, per mantenerli in contatto col Lebbrosario e mantenerne la socializzazione.
5.    Un rifornimento mensile o trimestrale di farmaci e materiale di medicazione di base, da mettere a disposizione dell’Infermiera governativa per tutti gli abitanti della zona, lebbrosi e non.
6.    Un rifornimento mensile di combustibile per permettere a P. Mandume di pompare l’acqua verso il Lebbrosario, modesto nella stagione delle piogge, piú consistente nella stagione secca per irrigare l’orto.
7.    Una “vigilante” presente al mattino nei giorni feriali per effettuare le pulizie degli alloggi (e dei panni) dei 3 lebbrosi residenti, del Posto di Salute e dell’ex-refettorio.

A questi, abbiamo ritenuto doveroso da parte nostra aggiungere un ulteriore punto, non espresso dalla dignitosissima Suor Dionisia:
8. 8.  Un modestissimo contributo annuale alle Suore Benedettine di Oshakuku, per assicurazione, manutenzione e parte del combustibile del loro malandato veicolo fuoristrada.

   

    


     Suor Dionisia alla fine ci ha invitati nel suo Convento, costruito grazie all'associazione "Chiesa che soffre" (!): ci ha fatto visitare il piccolo edificio, ci ha offerto acqua e succhi di frutta e quando le abbiamo chiesto cosa poteva essere utile alla Comunitá di cui é la Superiora, ci ha chiesto .... una macchina per fare le Ostie piú grande di quella che ha (che fa una grande ostia al centro e 10 normali tutte intorno) .... benedetta Benedettina! ma se hai 23 persone da sfamare, vestire e mandare a scuola!
     


      






Speriamo che AIFO riesca ad aiutare il lebbrosario. Il Cuamm non puó farlo perché é giá oberato dal peso dell’Ospedale di Chiulo, ormai in agonia per mancanza di farmaci e altri prodotti di consumo: in Sala Parto da settimane le ostetriche lavano e riusano i guanti non sterili per assistere le partorienti; gli altri reparti cercano di farne a meno. La lista di ció che manca sarebbe lunghissima e siamo giá abbastanza depressi noi, non c’é bisogno di contagiare anche voi che leggete il blog.
Cari saluti a tutti.
Marco